“Cibo sano, lavoro sano”. Una sfida attuale
Il 16 ottobre, in occasione della “Giornata mondiale dell’alimentazione”, si è tenuto un incontro sul tema della “sovranità alimentare” presso l’edificio Marco Polo, una delle sedi distaccate della Sapienza di Roma. L’incontro è stata ospitato nell’ambito delle lezioni del corso di “Politiche economiche locali e settoriali” del professor Luciano Vasapollo.
I relatori della giornata sono stati Mauro Conti come presidente del centro internazionale Crocevia, Stefano Gianandrea de Angeli dell’Unione sindacale di base, Cristian Cabrera per il Movimento terra contadina, Elisa Ragogna in rappresentanza di Fridays for future, a cui come Noi restiamo siamo stati invitati per presentare un nostro contributo.
Molti i temi dibattuti, in un constante interscambio di vedute su una questione tanto complessa, quanto attuale e di generale interesse.
Il punto di partenza, ovviamente, è stato il concetto di “Sovranità alimentare”, assunto in occasione del Vertice mondiale sull’alimentazione tenutosi presso la Fao nel 1996 e nato per mano di Via campesina, un’organizzazione politica che unisce e coordina i movimenti contadini di tutto il mondo.
L’idea alla base della sovranità alimentare è quella di riprendere il controllo del modello di produzione, in quanto causa dello sfruttamento sia dei lavoratori che degli stessi territori, individuando nel profitto il fine ultimo da cui deriva l’utilizzo di meccanismi agricoli di produzione intensiva e la conseguente drastica diminuzione salariale che genera e garantisce l’accumulazione capitalistica.
Negli anni Novanta i movimenti contadini iniziano a richiedere i diritti collettivi delle comunità per il controllo locale e nazionale della produzione agricola contro il libero mercato, il quale detta norme in nome di una logica di profitto. A sottolineare maggiormente lo sfruttamento nell’ambito del settore agricolo sono le stesse condizioni di contadini e lavoratori delle aree rurali. Paradossalmente, sono gli stessi che lavorano la terra a soffrire di malnutrizione in quanto, in un mercato dominato dalle multinazionali, non riescono a mantenere il livello di competitività richiesto per garantirsi il proprio sostentamento.
Inoltre, a causa dell’attuale modello su cui si basa, la produzione agricoltura sta a sua volta diventando causa della devastazione ambientale e dello sfruttamento di terre e animali. Ciò è ben osservabile in Amazzonia, luogo in cui avviene la coltivazione intensiva di soia per grandi multinazionali come la Cargill. L’utilizzo massiccio in queste zone di diserbanti ha causato la perdita di migliaia di chilometri quadrati di territorio e di specie animali che caratterizzavano la biodiversità locale.
Tuttavia, oggi la risposta non può essere il “biologico”, in quanto richiede una regolamentazione troppo dispendiosa per i piccoli contadini che in molte occasioni produrrebbero anche biologicamente, ma sono costretti a rivendere i propri prodotti senza tale etichetta.
Altro punto decisivo è stato quello relativo all’utilizzo delle tecnologia. Lo sviluppo, da sempre, è un punto cardine del sistema capitalistico, perché permettono di aumentare e migliorare costantemente la quantità di produzione, escludendo il lavoro dal processo produttivo e di conseguenza abbassandone i costi.
Anche nel mondo agricolo infatti si sviluppano continuamente nuove tecnologie. Si pensi per esempio all’introduzione dei prodotti Ogm (Organismi geneticamente modificati): questi sono prodotti che mediante, appunto, una modifica genetica permettono da una parte di avere un prodotto “nuovo”, protetto da brevetto, che garantisce un rendimento maggiore a chi ne detiene i diritti di proprietà, ma dall’altra uccide la biodiversità del territorio, specializzandolo spesso su una monocoltura e di fatto provocando la subordinazione di quei lavoratori inchiodati in quel segmento della catena di produzione, destinando anche intere comunità alla malnutrizione.
Tuttavia, come fatto notare da de Angeli, nel nostro paese la più grande causa di morte non è la malnutrizione, bensì la mancanza di sicurezza sul lavoro, in particolare in ambito agricolo, settore che detiene il primato per morti ed incidenti. La causa di questa situazione è sia la violazione delle leggi da parte delle aziende, sia la mancanza di controlli: di circa 400.000 aziende agricole infatti, a seguito della cosiddetta “legge sul caporalato”, sono stati effettuati circa solo 7.500 controlli, ma da cui il 50% delle aziende è risultato operare in una condizione di irregolarità.
In conclusione, si è convenuto che la necessità di un’alternativa può scaturire dal perseguimento della sovranità alimentare e dall’agroecologia, in un contesto però di democrazia economica e politica, tale da garantire ai lavoratori agricoli, e non solo, delle condizioni dignitose, cibo sano e accessibile per tutta la società.
Siamo noi giovani, in quanto classe più soggetta a sfruttamento e come coloro che risentiranno maggiormente del disastro climatico in atto, ad avere il difficile compito di smascherare il nostro nemico. Per fare ciò dobbiamo scovare le numerose contraddizioni in cui sono immerse le nostre vite; il mondo della produzione alimentare, nonostante spesso fuori ignorato dal circuito di informazione mainstream, non ne è di certo esente.
Di seguito, il testo del nostro intervento.
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«Noi restiamo è un gruppo politico di giovani universitari, ricercatori e precari che da sempre segue da vicino e supporta le lotte di Usb nelle fabbriche e nelle piazze. Insieme al nostro gruppo di studenti medi di riferimento Osa, Opposizione studentesca d’alternativa, abbiamo preso parte agli scioperi globali per il clima indette da Fff, da quelle dell’anno scorso fino all’oceanica manifestazione del 27 settembre scorso.
Riteniamo che il sorgere di tanto grandi mobilitazioni studentesche, erano infatti vari anni che non si vedeva nulla di simile, che chiedono a gran voce un modello di futuro alternativo a quello corrente sia un fatto senz’altro positivo. È altresì vero che larga parte della massa di giovani che si sono mobilitati riguardo al tema ambientale è costituita da ragazzi che per la prima volta si sono affacciati alla politica e pertanto mancano di un’analisi complessiva e puntuale delle dinamiche del sistema di produzione capitalista che sta dietro alle eclatanti devastazioni ambientali dei giorni nostri e della dialettica Capitale-Natura.
Il capitalismo internazionale ha investito capitali immensi sull’agricoltura e su tutta la filiera produttiva del cibo, sfruttando i lavoratori e i territori allo stremo, per garantire alimenti di scarsa qualità a prezzi bassissimi ritagliandosi in questo modo enormi margini di profitto. Esso ha creato un mercato enorme che produce dall’America latina alla Cina le stesse varietà di piante geneticamente modificate per dare più frutti, distruggendo la biodiversità delle colture, stipa immense quantità di bestiame negli allevamenti intensivi, sottoponendo gli animali a maltrattamenti terribili, imbottendoli di antibiotici per tentare di scongiurare i nuovi batteri e le nuove malattie che si originano in queste strutture e che poi passano all’uomo, e producendo enormi quantità di gas serra (oltre il 18 % di essi infatti è dovuto agli allevamenti intensivi).
L’alternativo a questo modello di sviluppo, anche riguardo all’alimentazione, non può e non deve essere la cosiddetta “green economy”, ovvero il tentativo del Capitale di riaggiustare le sue meccaniche produttive in modo tale da renderle sostenibili dal punto di vista ambientale. Questo modello economico, che non guarda all’effettiva salvaguardia dell’ambiente e a quella dei lavoratori, riesce a trarre ricchezza, come il capitalismo precedente ne ricavava dallo sfruttamento selvaggio della natura, dalle limitazioni che il modello precedente ha portato e pertanto prima o poi cadrà nelle medesime contraddizioni del tipo di sviluppo economico che va a sostituire.
Un’alternativa può nascere dalla sovranità alimentare e da un cambiamento di paradigma della produzione degli alimenti, che garantisca ai lavoratori del settore condizioni di vita dignitose e ai consumatori cibo controllato e di qualità.
Per quanto riguarda noi come giovani militanti politici riteniamo che sia necessario stare all’interno dei movimenti di massa per smascherare gli stratagemmi del nemico di classe, che in questo momento nasconde il suo volto dietro ad una maschera verde, individuare le contraddizioni su cui intervenire al fine di portare il movimento ad un punto di maturazione politica tale da permettere il conflitto di classe e appoggiare e sostenere le lotte dei sindacati conflittuali, nell’ottica di un’unificazione delle rivendicazioni giovanili di un futuro degno e di quelle dei lavoratori di condizioni di lavoro e di vita dignitose».