IN SAPIENZA VOTANO POCHISSIMI: MA PERCHÉ?
Negli scorsi giorni alla Sapienza si sono svolte le elezioni per le assemblee di facoltà, il consiglio d’amministrazione ed il senato accademico.
Come negli scorsi anni, l’affluenza al voto è drasticamente bassa; nonostante i dati rivelino un aumento del numero di votanti, con un passaggio dal 20% a quasi il 30% (probabilmente dovuto alla modalità online), la maggior parte degli studenti non ha preso parte all’elezione dei suoi rappresentanti.
Il motivo della scarsa partecipazione che si è registrata anche quest’anno non è da associare al disinteresse degli studenti rispetto alle questioni legate al mondo dell’Università, quanto piuttosto al fatto che quest’ultima non offre più uno spazio di dibattito politico degno di questo nome.
Per questo motivo, poi, le elezioni, così come le rappresentanze elette, vengono percepite come inutili da molti studenti. La Sapienza non favorisce l’apertura di spazi di confronto, anzi cerca di sopprimerli, chiudendo le aulette autogestite dagli studenti, un tempo presenti in quasi tutte le facoltà, e impedendo addirittura il semplice volantinaggio all’interno della città universitaria (venerdì scorso ad esempio un ragazzo che volantinava iniziative studentesche è stato preso dalla sicurezza e buttato fuori dal suo stesso ateneo per questo).
Anche a causa di ciò, il ruolo che si sono ritagliate le principali associazioni studentesche, come ad esempio Sapienza In Movimento, non ha NULLA di politico. Si vince candidando gente a caso che nemmeno sa cosa sta firmando, si fa a gara a chi porta più amici, ci si spartiscono soldi e clientele una volta eletti e acquisito il potere di assegnare fondi per eventi e iniziative dentro l’università. Sembra inoltre che il ruolo delle rappresentanze sia diventato quello di sostituirsi alle segreterie lì dove l’ateneo fallisce: ad esempio, prendendosi l’incarico di informare gli studenti sulle complicate procedure burocratiche a cui si devono sottoporre, aiutando a utilizzare le varie piattaforme online o a fare richiesta per una borsa di studio. Questo ruolo, che dovrebbe assumersi la Sapienza stessa ma non ne è in grado o non gli interessa, ribadiamo, non ha NULLA di politico: politica significa discutere delle priorità dell’università (quanto conta per la Sapienza la socialità degli studenti? È davvero pensabile la didattica a distanza in sostituzione completa di quella in presenza? Vanno messi prima gli interessi dei privati che investono nell’università o quelli degli studenti che vi studiano?) quindi dell’assegnazione dei fondi (stanziarne un tot per attrezzare aule studio oppure per installare telecamere di sorveglianza?) e del ruolo dell’Università nella società (è accettabile che la Sapienza collabori con l’industria bellica e con aziende responsabili del disastro ambientale? Il problema del caroaffitti e degli studenti-lavoratori al nero è anche un problema dell’ateneo? È giusto che siano in gran parte gli studenti a finanziare l’Università pagando la retta, o se ne dovrebbe occupare lo Stato?).
Tali questioni richiedono di essere affrontate all’interno di un dibattito politico tra gli studenti stessi, non possono continuare ad essere nascoste sotto il tappeto mentre si rivendicano concessioni temporanee che risolvono poco o nulla, come ad esempio il posticipo, rivendicato dalle rappresentanze, della terza rata dell’anno scorso, che gli studenti però hanno dovuto comunque pagare nonostante la situazione di crisi senza precedenti.
La necessità di questi spazi di discussione si sente ancora di più in questo momento di emergenza sanitaria, in cui la Sapienza (ma anche il governo) non è stata in grado di garantire equamente a tutti gli studenti il diritto allo studio. Di problemi derivanti dal disinvestimento nel mondo della formazione e da una concezione profondamente sbagliata dello stesso ne emergono ogni giorno, sono insiti nella quotidianità di ogni studente, ma, nonostante ciò, non c’è ombra di apertura verso un confronto reale a riguardo, né di voglia da parte delle principali associazioni studentesche di entrare in conflitto con chi quei problemi li causa (dai piani alti della Sapienza fino al Ministero).
La competizione elettorale all’interno della nostra università riveste oramai solamente un ruolo di facciata, essendo venuti a mancare con la scomparsa dei collettivi e degli spazi di aggregazione e di confronto i presupposti reali per un suo funzionamento, tant’è vero che in molti non sono nemmeno a conoscenza dei candidati e di quelle che sono le loro proposte, e non sanno chi scegliere tra liste che appaiono tutte uguali.
È necessario, ora più che mai, ricostruire spazi di confronto e di politica tra gli studenti all’interno della Sapienza, e solo allora potranno assumere un senso elezioni e rappresentanze. Ma bisogna partire dal basso, dalle aule dove studiamo, dai canali, dai luoghi (fisici e virtuali) che vivono gli studenti, e non dalle istituzioni.
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