Gettare il cuore oltre l’ostacolo: la necessità di una rappresentanza conflittuale Riflessioni a margine della mobilitazione BastaTasseUnito
Dopo le mobilitazioni che hanno visto scendere in piazza gli studenti torinesi, di Unito come dell’Accademia Albertina, si impongono alcune riflessioni che ci permettono di fare il punto della situazione e di rilanciare lotte future, avendo ben chiaro il quadro d’insieme.
La pandemia ha fatto emergere, nel mondo dell’università come in tutti gli altri campi, tutte le contraddizioni di un modello che non è in grado di garantire il benessere collettivo e tutte le fragilità di una generazione impoverita e precaria (abbiamo scritto diffusamente di questo qui). Ormai sono palesi le enormi responsabilità di chi ci governa e lo scontro di interessi tra noi studenti e l’amministrazione universitaria. Mentre noi studenti cerchiamo di far quadrare i conti tra tasse universitarie sempre più alte, affitti esorbitanti e lavoro precario, il Rettore è troppo impegnato a farsi bello con i giornali cianciando di “eccellenza”, “qualità” e di “buona gestione” dell’emergenza ad Unito. Così, di fronte alle pochissime briciole date dal governo all’università pubblica e nessuna tutela per il diritto allo studio, abbiamo deciso di mobilitarci pretendendo un cambiamento di rotta: dall’abolizione delle tasse universitarie al semestre bonus, dall’aumento delle residenze pubbliche al blocco degli affitti e delle utenze.
La mobilitazione, iniziata a fine novembre, è stata reale e partecipata. Tuttavia, non ha potuto esprimere tutte le potenzialità che aveva, le quali avrebbero potuto avvicinarci all’obiettivo che ci siamo posti: esercitare pressione sull’amministrazione di Unito affinché mettesse in pratica le nostre richieste (nel dettaglio qui).
In questa situazione di lotta, lo strumento della rappresentanza studentesca è sicuramente utile per portare le istanze degli studenti dentro gli organi e dare ancora più voce alla mobilitazione.
Come la rappresentanza universitaria ha necessariamente bisogno di una reale lotta fuori per far valere le sue istanze negli organi, così, le piazze studentesche possono essere più forti se adeguatamente rappresentate dentro le riunioni amministrative. In questo caso, ciò non è avvenuto perché le rappresentanze studentesche (stiamo parlando delle rappresentanze studentesche “più a sinistra”) non si sono mai poste in maniera conflittuale con l’amministrazione universitaria, facendo prevalere una logica di compatibilità totale con quelle stesse istituzioni che rendono impossibile per molti l’accesso agli studi. In ogni singola occasione in cui sarebbe stato possibile portare avanti le nostre richieste, si è invece optato per rivendicazioni al ribasso a prescindere, che hanno portato al nulla di fatto in cui ci troviamo ora. Così, non solo la misura minima del semestre bonus è stata accantonata rapidamente, ma le questioni che più avrebbero inciso sulla situazione, come l’abolizione delle tasse, non sono nemmeno state proposte all’ordine del giorno nei Consigli di Amministrazione. Senza parlare di organi soltanto studenteschi come il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari che hanno soltanto discusso di una proroga dell’anno accademico.
Così facendo, le rappresentanze non hanno supportato adeguatamente la mobilitazione portandola alla sua fine.
Tutto ciò ha le sue radici in una concezione profondamente limitata della rappresentanza studentesca, intesa non come spazio politico dove far avanzare istanze reali, ma come mera professione tecnica e burocratica, che si limita ad amministrare l’esistente “per conto” dell’università, supplendo addirittura alle sue carenze, invece che denunciarle. Viene, insomma, accettata acriticamente la narrazione fatta dall’università di un presunto tecnicismo degli organi, non rendendosi conto di quanto, invece, quegli organi siano strettamente politici. Se le richieste vengono formulate accettando acriticamente i limiti posti dall’interlocutore, nessuna trattativa può essere messa in atto e le “vittorie” eventualmente ottenute sono sempre compatibili e marginali.
Uno dei più grandi e assurdi limiti che vengono accettati da queste rappresentanze è quello di non diffondere ciò che viene deciso dentro il Consiglio e il Senato Accademico. Infatti, sappiamo bene che le sedute degli organi non sono del tutto pubbliche: le parti che riguardano gli accordi con le aziende private, per esempio, vengono del tutto oscurate e non esposte pubblicamente. In questi anni abbiamo notato più volte che le rappresentanze non hanno avuto un ruolo di informazione e denuncia di questi accordi: nessuna parola è stata spesa per far conoscere gli accordi tra Unito e le numerose aziende private che, di fatto, sono quelle che più decidono del futuro dell’università (pensiamo alla costruzione della Palazzina Aldo Moro di cui non sapevamo nulla prima di vederla già costruita), così, agli studenti viene data pochissima possibilità di capire i nuovi progetti dell’amministrazione. Denunciare che cosa avviene nelle stanze dei bottoni di Unito è, invece, fondamentale per le lotte studentesche perché permette di preparare con più determinazione l’opposizione alle tendenze in atto. Così facendo si perdono in continuazione importanti occasioni di mobilitazione degli studenti che possono dare più forza in sede di contrattazione con l’amministrazione.
I risultati di questa impostazione sono sotto gli occhi di tutti: una rappresentanza che si pone sempre e comunque come obiettivo la “compatibilità” ha rapidamente perso credibilità agli occhi degli studenti, che infatti la vedono con disinteresse (alle ultime elezioni universitarie di Unito l’affluenza è stata inferiore al 10%) quando non direttamente con ostilità. Così facendo, le rappresentanze hanno del tutto perso la propria efficacia entrando in una profonda crisi. Infatti, in questi anni non hanno neanche avuto la forza (e talvolta la volontà) di opporsi alla loro stessa marginalizzazione all’interno degli atenei, trasformandosi progressivamente in rappresentanti di interessi esterni al corpo studentesco, siano essi sindacati concertativi o associazioni confessionali, che in questo modo snaturano la ragione stessa di quegli organi facendo i loro interessi e non quelli degli studenti.
Questa ipotesi di rappresentanza è figlia di una cultura politica che ha abbandonato del tutto un approccio conflittuale, che non si vuole far carico della responsabilità dello scontro di interessi tra studenti e amministrazione (ora più forte che mai) e che si pone sempre in un’ottica di dialogo e mediazione con la controparte. Questo tipo di rappresentanza viene, così, del tutto sussunto dalla controparte proprio perché il dialogo, nei fatti, significa ottenere soltanto ciò che l’amministrazione vuole concedere, ossia poco o addirittura nulla, come abbiamo visto.
Contro tale modello è necessario mettere in campo un radicale cambio di prospettiva e di rotta.
Crediamo infatti che la rappresentanza possa essere uno strumento se e solo se concepisce il corpo studentesco come un soggetto politico capace di combattere per un’università completamente diversa.
La rappresentanza non deve soltanto interpretare le volontà e i bisogni degli studenti, ma deve soprattutto criticare l’intero modello di università che ci vogliono imporre. Occorre avere il coraggio politico per opporsi non solo all’erosione del diritto allo studio, ma anche ad un’università di Torino sempre più responsabile della realtà in cui siamo costretti a vivere. Dagli accordi pubblico-privato che permettono la costruzione di grandi hub utili solo alle imprese private che ci investono e alla gentrificazione di interi quartieri, come il Parco della Salute o come la Palazzina Aldo Moro, fino al silenzio di fronte allo smantellamento delle residenze pubbliche a favore di quelle private come The Student Hotel o Camplus; e ancora, dagli accordi criminali come quello con il Politecnico israeliano del Technion fino alle collaborazione di ricerca con l’azienda Telt, costruttrice del Tav.
Insomma, la rappresentanza è funzionale solo se viene concepita come strumento non tecnico ma tutto politico e di radicale opposizione perché solo in questo modo possono essere affermati interessi che se no, neanche vengono presi in considerazione. Laddove invece si sclerotizza nell’autoreferenzialità, si condanna all’irrilevanza, finendo per servire (cosciente o meno) gli interessi opposti a quelli che dovrebbe sostenere.
Questa riflessione sul ruolo della rappresentanza che parte dall’interrogarsi sulla fine di una mobilitazione come è stata quella di BastaTasseUnito non vuole esaurire qui il discorso, ma vuole fornire alcuni spunti utili per la costruzione di un’opposizione organizzata a ciò che ci viene imposto con sempre più forza dentro e fuori gli organi decisionali di Unito.