Un sistema in crisi: i giovani catalani in rivolta per Pablo!
La questione catalana è tornata a farsi sentire fortemente nelle piazze della Catalogna a partire dall’arresto di Pablo Hasel, un rapper comunista e indipendentista, condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere a seguito di alcuni suoi tweet e il testo di sua canzone, in cui denunciava l’attacco delle istituzioni spagnole alla libertà di espressione. Migliaia di giovani catalani sono scesi in piazza per manifestare contro la repressione delle autorità spagnole, che da anni ledono le libertà del popolo catalano. Ricordiamo bene cosa successe al referendum del 2017, quando la polizia spagnola attaccò violentemente gli elettori catalani.
I giovani catalani vivono in condizioni di estrema precarietà lavorativa, con un 38 % di giovani tra i 16 e i 24 anni che non riesce a trovare lavoro: una condizione non dissimile da quella che vivono i giovani in Italia, dove la disoccupazione e la precarietà lavorativa sono diventate la norma. La lotta dei giovani catalani dimostra chiaramente la forte perdita di consenso delle istituzioni spagnole, fatto che é risultato evidente anche in seguito alle elezioni del 14 febbraio, che hanno visto un forte rafforzamento delle forze indipendentiste (74 seggi per l’intero fronte indipendentista). I giovani catalani che in queste settimane sono scesi in piazza hanno deciso di non abbassare la testa di fronte alla morsa repressiva, di generare una rivolta, non come un semplice atto di rabbia, ma come una decisione politica consapevole, per rispondere con forza agli atti repressivi e per mostrare allo Stato spagnolo che questi atti non rimarranno impuniti, ma che la risposta da parte loro sarà sempre quella della mobilitazione popolare. Dopo settimane di mobilitazioni i giovani catalani sono stati in grado di portare in piazza contraddizioni ben più ampie venute a galla negli ultimi mesi, contraddizioni che sono il frutto di una lunga crisi egemonica delle democrazie europee e di tutta l’Unione Europea: infatti, di fronte ad un drastico peggioramento delle condizioni di vita durante la pandemia, l’Unione Europea sta mettendo in campo una forte fase di ristrutturazione finalizzata a favorire la valorizzazione dei capitali sulla pelle di donne e giovani (sempre in prima fila su questo fronte). Alla fuoriuscita di queste contraddizioni lampanti lo Stato Spagnolo ha risposto con la pratica repressiva per schiacciare qualsiasi alternativa possibile
Le mobilitazioni giovanili sono riuscite ad ottenere, dopo poche settimane, anche dei risultati concreti, portando alla riforma dei Mossos d’Esquadra, che erano diventato lo strumento privilegiato con cui lo Stato spagnolo cercava di frenare il rafforzamento delle forze indipendentiste.
Anche noi giovani italiani ci sentiamo molto vicini ai giovani catalani. Anche noi viviamo in simili condizioni lavorative e subiamo in Italia la morsa repressiva e oppressiva dell’Unione Europa, che oggi prende ancora più piede in Italia grazie alla scelta di Mario Draghi come nuovo presidente del consiglio: anche qui, la classe politica dominante ha mostrato tutto il suo clientelismo e la sua incapacità. Mario Draghi arriva per ristrutturare un paese con un tessuto economico arretrato per le sfide che la competizione interimperialistica richiede, e si prepara quindi a portare nuovi tagli alla spesa, concentrando i fondi pubblici e il nuovo deficit “buono” per favorire la concentrazione dei capitali. A questo seguirà disoccupazione e imbarbarimento della società, a cui si farà fronte con la morsa repressiva per chiunque avrà critiche: tre ex militari oggi ricoprono incarichi nella gestione dell’emergenza Covid e nei servizi segreti.
Durante la nostra iniziativa, grazie alla partecipazione di Bakis Beks, abbiamo visto come questa pratica sia già in atto in Italia per chi mette in discussione l’atlantismo (per l’europeismo aspettiamo ancora poco…) appena professato dal nuovo governo: Bakis Beks, infatti, è un rapper sardo che ha subito la stessa sorte di Pablo Hasel per il testo di una sua canzone, critica della presenza di basi NATO nel territorio sardo. Subiamo anche noi, come paese ai margini di un’Unione Europea in crisi, gli effetti di questa forte crisi di dominio che ha colpito l’Europa, resa evidente dallo scoppio della pandemia di covid19, crisi a cui i paesi hanno risposto nel medesimo modo: rafforzando la morsa repressiva.
Questa crisi egemonica dell’Unione Europea le vediamo ovunque a partire dall’accettazione passiva del ricatto delle multinazionali produttrici del vaccino e dal tentativo di mettere in atto il processo di ristrutturazione, che vuole mettere il pubblico e lo stato completamente al servizio del profitto, pratica che é risultata ancor più chiara con la gestione della pandemia. Il polo imperialistico europeo si dimostra pronto a sacrificare, a vantaggio del profitto, gli interessi della collettività e il futuro dei giovani, prime vittime di questo periodo, su cui si scaricheranno tutti i costi da pagare. Ad essere tutelati sono solo gli interessi della borghesia industriale europea, che in questo momento storico non possono tollerare forme di opposizione e di conseguenza fanno sì che le democrazie occidentali reagiscano con la repressione e il dominio. Non è un caso, infatti, che già nel 2017 l’Unione Europea si schierò a fianco del governo spagnolo, giustificando l’attacco repressivo della polizia spagnola e l’arresto dei membri del governo catalano. Ancora oggi l’Unione europea dimostra il suo assenso con il silenzio di fronte al caso di Pablo Hasel.
La forza dei moti indipendentisti catalani dimostrano che un’alternativa è possibile e che chi non accetta questo sistema, chi lotta per un mondo migliore, deve essere all’altezza di affrontare la repressione di una classe dominante che non abbandonerà il suo potere senza combattere.
Siamo sempre al fianco del popolo catalano. La vostra repressione non fermerà il nostro cammino che ci porta a costruire giorno per giorno l’alternativa!