“Prigionieri del mattone” nuova pubblicazione di ASIA USB sulla crisi abitativa. Un commento a partire dalla condizione giovanile
“Prigionieri del mattone” è un importante lavoro di ricerca e di analisi sul tema dell’abitare che, a partire dalle tendenze strutturali dello sviluppo diseguale che caratterizzano il nostro paese, entrando poi nel merito delle politiche pubbliche in materia di abitare nell’arco dei decenni, ci restituisce un quadro piuttosto completo sui processi che investono e determinano la configurazione delle nostre città. Un lavoro teorico che, completato dal bagaglio storico e dalla prospettiva politica di Asia Usb, non si limita a dare una fotografia della realtà, ma rilancia la necessità di pratiche e proposte politiche alternative e conflittuali di lotta per la casa nel nostro paese.
Come Organizzazione Giovanile Comunista da anni lavoriamo fianco a fianco nei percorsi di lotta con Asia USB e con i Movimenti per il Diritto all’Abitare riconoscendo (e questo nel libro è spiegato bene) quella del diritto all’abitare negato e dei processi che riguardano la casa (nel senso più generale) come una contraddizione strutturale fondamentale del modo di produzione capitalistico.
Questo perché vediamo nelle battaglie per il salario, per il lavoro ed il diritto all’abitare dei terreni strategici da percorrere nell’attacco alla rendita, alla proprietà privata, all’accumulazione e alla speculazione finanziaria immobiliare, soprattutto in questo periodo storico caratterizzato da un forte peggioramento delle condizioni e delle prospettive di vita di giovani, lavoratori e classi popolari. L’alleanza con l’USB e i movimenti per la casa è infatti un percorso strategico, non astratto, nell’ottica di unire le lotte dei vari settori sociali che subiscono la miseria e lo sfruttamento di questo sistema, nella prospettiva di costruire le alleanze sociali e di classe per rilanciare ipotesi di rottura e di conflitto sempre più necessarie.
Nel testo sono presenti delle pagine dedicate, più in particolare, alla condizione giovanile. Le giovani generazioni, senza che però si perda un’analisi di classe e si schiacci il discorso su una fantomatica questione generazionale, sono giustamente riconosciute come quelle sulle quali ricadono tutte le contraddizioni che si sono rafforzate, fatte sempre più profonde e più gravi negli anni. La questione è di classe e non generazionale, ma si va manifestando sempre più come generazionale perché tutti i meccanismi e i fattori che determinano quella che noi chiamiamo un’assenza di prospettive, una precarietà materiale ed esistenziale sia presente che futura, investono una fetta sempre maggiore di giovani.
Contraddizioni sempre più forti, una forbice sociale sempre più ampia, scelte politiche che hanno aumentato queste contraddizioni riproducendo il sistema che le produce: hanno fatto sì che la categoria dei giovani in generale andasse sempre più a coincidere con quella dei giovani precari, i giovani sfruttati, i giovani esclusi dall’università, i giovani costretti a emigrare, i giovani che si vedono preclusa ogni possibilità di migliorare la propria condizione di partenza.
Come è messo bene in luce nel volume, per fattori soprattutto materiali (affitti a prezzi alti che mangiano mediamente più della metà del salario, smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica, banche che incoraggiano ai mutui avendo tenuto per anni i tassi d’interesse bassi, il bene casa come forma di protezione) la casa di proprietà è diventata traguardo materiale e simbolo dell’emancipazione individuale, del raggiungimento di una forma di stabilità, di indipendenza economica e base a partire dalla quale costruire i propri progetti di vita. Ebbene, per le giovani generazioni andare via di casa e, poi, potersi permettere una casa è diventato qualcosa di quasi impossibile.
Partendo da qualche dato scritto nel testo, considerando che si tratta di dati risalenti a un decennio fa e quindi tenendo conto che la situazione a livello generale è sicuramente peggiorata, sotto i 35 anni più della metà dei giovani vive ancora a casa con i genitori. Chi va via di casa, visto che mancano serie forme di assistenza e tutela pubblica (nel caso degli studenti, in primis, sono largamente insufficienti i posti negli studentati pubblici) si trova gettato in pasto al mercato privato degli affitti. Tra quelli che affittano un posto letto, quasi il 90% è costretto a stare in una situazione giuridicamente non tutelata, quindi estremamente ricattabile, e fonte di illegalità ed evasione fiscale: il 60% non ha un contratto e il 28% ha un contratto non registrato.
La magia del mercato deregolamentato fa sì che nelle città in cui sono presenti atenei, quindi più studenti universitari e quindi una maggiore domanda, i prezzi di case e stanze siano tutti più alti, andando a ledere in particolare il campo del diritto allo studio. Gli affitti hanno dei prezzi alti, troppo alti se rapportati ai salari. Il livello delle retribuzioni medie in Italia è tra le più basse in Europa (e in più ricordiamo che l’Italia è l’unico paese in cui i salari si sono abbassati negli ultimi 30 anni), in più il salario dei giovani che si confrontano con un mercato del lavoro precario e instabile è ancora più basso rispetto alla media nazionale. E non è un caso che, in un contesto in cui aumentano le morosità incolpevoli e i provvedimenti di sfratto, i giovani sono tra le categorie più colpite. Una situazione del genere, cioè estremamente precaria, non vuol dire instabilità solo sul piano dell’abitare, ma una precarietà generale e l’impossibilità per i giovani, che non hanno alcuna certezza e solidità materiale-economica, di definire dei progetti di vita che non siano limitati al brevissimo periodo. Una grande quantità di giovani, infatti, punta ad arrivare a fine mese, e non ha le possibilità di pensare alla propria vita con più ampio respiro, schiacciata da prezzo dell’affitto, bollette, spese in un periodo di carovita, turni massacranti al lavoro in condizioni pessime, competizione universitaria, ecc.
La grande frattura che emerge quindi è quella tra il “mondo abitativo” e le opportunità materiali che offre il sistema (in ambito anzitutto lavorativo e anche della formazione). Se di fronte a questa frattura non c’è l’intervento pubblico, sono le famiglie spesso e volentieri a svolgere un ruolo di supplenza. O ospitando i figli a casa fino ai 30 anni ed oltre, o, nei casi di famiglie che possono disporre di accumuli finanziari, supportando le scelte proprietarie dei figli, aiutandoli a comprare casa. La forbice così si allarga: chi ha potuto contare sui risparmi o sull’accumulazione delle famiglie d’origine riesce trovare delle soluzioni abitative, mentre tutti gli altri rimangono o strozzati dagli affitti o, se riescono ad ottenere un mutuo, indebitati a vita.
Ma l’accumulazione che ha consentito a un paio di generazioni, quelle nate a ridosso del boom economico, di lasciare una casa ai propri figli o liquidità tali da consentire l’acquisto, è finita da anni. Le generazioni successive, già quelle nate dagli anni 70 in poi, hanno beneficiato dell’accumulazione, ma non dispongono a loro volta delle stesse capacità di accumulazione. E questo è un problema che riguarda l’evoluzione (in negativo) delle prospettive di vita e lavorative in Italia.
Dunque, se una buona parte di popolazione ha potuto beneficiare dell’accumulazione dei genitori (che magari anche da semplici lavoratori salariati hanno comunque potuto mettere da parte dei soldi), le nuove generazioni consumano questi risparmi, ma non sono in grado (non per una incapacità loro, ma per condizioni oggettive da loro indipendenti) di risparmiare a loro volta, non potendo fare nei confronti dei propri figli ciò che hanno fatto i genitori. Questo fenomeno rientra nei processi di impoverimento e proletarizzazione della classe media in Italia, con una polarizzazione e una concentrazione della ricchezza nelle mani dei pochi grandissimi.
In un’Italia in cui è premiata l’accumulazione, il profitto, la rendita, a discapito del lavoro (basti pensare alle politiche sul lavoro degli ultimi trent’anni o più, anzi a partire dalla cancellazione della scala mobile, basti pensare al fatto che l’eredità e i canoni di locazione sono tassati meno dei salari) quel gruppo sociale che grazie al lavoro aveva raggiunto negli anni passati buone condizioni di vita vede la sua ricchezza erosa da inflazione, carovita, rendita e si avvicina gradualmente alla soglia di povertà (povertà in aumento).
Invece, a godere della ricchezza e a poterne accumulare, visto che non sono i lavoratori, è quella parte di borghesia che gode di rendite patrimoniali. Con il lavoro non solo ormai non si riesce ad accedere a maggiori quote di benessere, ma si retrocede a scapito di chi può disporre di lasciti ereditari, di chi ha entrate mensili senza essere minimamente coinvolto nella produzione di ricchezza, ecc.
Lo studio e il percorso universitario ormai non garantiscono più come prima una possibilità di emancipazione, perché il lavoro stesso, anche nei casi in cui si è forza-lavoro qualificata, consente sempre di meno anche la stessa sopravvivenza. Nonostante una retorica martellante e i cambi di nome al ministero, la polarizzazione in seno alla nostra società, l’immobilismo sociale e l’assenza di prospettive presenti e future fanno crollare qualsiasi narrazione sul merito.
Narrazione che è invece utilizzata dalle grandi testate giornalistica ai tv talk per giustificare la condizione giovanile, dicendo che i giovani d’oggi sono sfaticati, (per citare un capitolo del libro) “fighetti, bamboccioni, sfigati”, mentre la verità è tutt’altra: che ci è stata fatta terra bruciata attorno. Narrazione che abbiamo sentito proprio durante le settimane della “protesta delle tende” oltre che in ambito mediatico anche in ambiti politico-istituzionali, anche e soprattutto per giustificare i processi di esclusione di classe dall’università e sostenere che il diritto allo studio (così come il diritto a uno studentato pubblico, così come i diritti in generale) non è che debbano essere garantiti a tutti, ma solo a chi se li merita.
E mentre ogni pezzo di realtà dimostra come sia sempre più impensabile e ridicolo continuare a parlare di merito, categoria che in ogni caso rifiutiamo, la nostra società ritorna sempre di più ad avere gli aspetti della società del privilegio.
Il recente percorso della “protesta delle tende” a livello nazionale contro il caroaffitti è un’ottima verifica rispetto a quanto analizzato sopra e nel libro sia dal punto di vista della contraddizione oggettiva e del suo manifestarsi, sia rispetto alla risposta che il mondo politico-istituzionale, mediatico e dell’opinione pubblica hanno avuto al riguardo.
Sul piano politico-istituzionale, durante gli incontri ci siamo scontrati faccia a faccia con quello che nel libro viene definito come quel blocco politico che è espressione degli interessi del blocco sociale dei grandi proprietari, dei costruttori, delle banche e dei gruppi finanziari che sul mercato immobiliare fanno affari. Si tratta di un blocco sociale che, nonostante abbia degli interessi decisamente particolari e in contrapposizione con quelli di tutti gli altri settori sociali (anche, per esempio, con quelli della piccola e media borghesia, le piccole e medie imprese che rappresentano la buona parte del tessuto produttivo italiano), è riuscito a fare perfettamente egemonia, ottenendo completa rappresentanza nell’arco delle forze politiche e convincendo tutti i mono proprietari d’Italia che i suoi interessi particolari fossero interessi generali, e quindi anche i loro. Questo è un dato importante in termini politici nel caso italiano che è, a tutti gli effetti, un paese di piccoli proprietari conviti, ideologicamente, della superiorità della proprietà privata e della rendita.
Negli incontri con il centro-destra a parte qualche astratta frase sull’importanza del diritto allo studio (smentita subito nel parlare delle politiche concrete che servirebbero per garantirlo realmente) è stato ribadito chiaramente che nessun attacco può essere portato avanti contro la rendita e che la cooperazione tra pubblico e privato è l’unica via percorribile non solo in campo abitativo, ma in qualsiasi campo.
Se da istituzioni di destra non potevamo aspettarci che questo, cioè la difesa più di stampo berlusconiano possibile della proprietà e del mercato privato, dal centro-sinistra, che in questo momento gioca a fare la finta opposizione, di fianco alla più becera strumentalizzazione delle proteste che sembrava architettata a tavolino, la posizione politica si è confermata essere la stessa. I vari Gualtieri, Schlein, Landini, quando sono venuti a portare la solidarietà alle tende, sono stati contestati. Il centro-sinistra attuale, oltre a rappresentare meglio della destra (ancora un po’ troppo provinciale gli interessi dei gruppi finanziari internazionali e l’agenda liberista europea) bisogna sempre ricordare che è stato uno degli artefici principali che ha creato le condizioni per la crisi abitativa in Italia.
Se i prezzi degli affitti sono alle stelle, se non esistono più dei seri tetti agli affitti, se i proprietari hanno un potere contrattuale enorme, se tutto è lasciato al magico regolarsi di domanda e offerta, se stare in affitto oggi è così proibitivo che le famiglie preferiscono indebitarsi per centinaia di migliaia di euro per comprare a tutti i costi una casa, se il privato la fa totalmente da padrone sul campo abitativo di fronte a una ritirata del pubblico: è grazie alla legge 431 del 1998, che risale a un governo di cosiddetta centro-sinistra, il Governo D’Alema. Governo che, seguendo la scia europeista liberista degli anni 90, la scia delle liberalizzazioni e privatizzazioni a tutti i costi, abolisce l’equo canone e deregolamenta il mercato degli affitti.
Per questo, nell’arco delle mobilitazioni, abbiamo chiesto che la legge 431 del 1998 fosse abolita, che venisse reintrodotto l’equo canone, e cioè che lo Stato intervenisse andando oltre quella che ormai oggi gli si riconosce come l’unica sfera d’azione possibile (se non in alcuni rari casi, cioè quando si tratta di socializzare le perdite), cioè la sfera del pubblica.
Crediamo che lo Stato debba intervenire quindi anche nell’ambito del privato, limitando il mercato privato degli affitti, riconoscendo che gli affitti troppo alti sono il risultato della speculazione privata e che l’unico modo di affrontare seriamente e strutturalmente il problema è attaccare direttamente la speculazione e la rendita.
Non più toppe come gli aiuti statali per la morosità incolpevole o quelli che per noi studenti assumono la forma dei bonus alloggio, che sì, aiutano chi sta in affitto a rimanerci, ma semplicemente perché il pubblico copre i costi che l’affittuario non riesce a coprire, consentendo comunque alti profitti ai proprietari, e, piuttosto che limitare questi profitti, legittimandoli e proteggendoli. Se da una parte il mercato privato va attaccato e demolito, dall’altro c’è bisogno di un ritorno del protagonismo statale nel campo abitativo. Statale non però nella direzione dei benefici per i gruppi immobiliari e finanziari, ma nella direzione dei benefici per la collettività, o meglio: per i lavoratori e le classi popolari.
Negli ultimi anni, le uniche politiche portate avanti sono andate nella prima direzione: oltre alla legge 431; lo stop all’edilizia residenziale pubblica e, anzi, lo smantellamento, attraverso la vendita, del patrimonio immobiliare pubblico; la cancellazione di tasse sulla proprietà; la detassazione delle grandi proprietà non messe a valore (rendendo quindi la casa uno dei beni finanziari per eccellenza) e via discorrendo.
È necessario su questo un cambio di rotta, che sicuramente non può essere fatto da nessuna delle forze politiche dell’arco parlamentare, perché nessuna di questa ci rappresenta, non rappresenta i bisogni dei lavoratori, degli studenti, dei giovani, dei pensionati, delle classi popolari, ma anzi di un sistema ormai in crisi.
Citando una frase chiave: “I giovani vivono sulla loro pelle un paradosso intollerabile: sono i soggetti ai quali si guarda con fiducia per il rilancio del sistema-Paese eppure sono allo stesso tempo coloro che subiscono maggiormente le scelte (pessime) di politica pubblica degli ultimi anni.” la contraddizione è quella di un sistema che per superare le sue crisi crea semplicemente le condizioni per crisi sempre più ampie, un sistema che nella sua stessa riproduzione storica impedisce sempre di più la sua riproduzione futura. I paragrafi sulla condizione giovanile porterebbero dunque ad una constatazione amara, cioè che l’Italia non è un paese per giovani (con anche un invito ironico e provocatorio ad andarsene da questo paese), andando in realtà a toccare il fenomeno sempre più ampio dell’emigrazione giovanile. Con uno sguardo un po’ più attento, però, verrebbe da dire che è il sistema capitalista a non essere un sistema per giovani e un cambio di rotta non può essere altro che il risultato di un percorso di conflitto sociale tutto da costruire: dalle scuole ai posti di lavoro, dalle università alle borgate fino ad ogni piazza.
Cambiare Rotta – Organizzazione Giovanile Comunista