FERMIAMO L’INVASORE, LIBERIAMO LA CITTÀ: Costruiamo le Eco-Resistenze!

Chi ha invaso Roma?

Vivere oggi Roma vuol dire essere immersi in un contesto di trasformazioni urbane che si manifestano principalmente in due modi: la distruzione ambientale dei territori e l’inasprimento delle disuguaglianze sociali. Non a caso sono inquinamento, consumo di suolo e diritto all’abitare le questioni attorno a cui si sviluppa la maggior parte dell’opposizione e della mobilitazione metropolitana.Il minimo comun denominatore di queste trasformazioni è il processo decennale di mercificazione della metropoli, avviato oltre cinquant’anni fa con protagonisti i “prenditori” romani ma che man mano ha coinvolto capitali sempre più grandi e internazionali, ponendo Roma su un piano di competizione globale al pari delle maggiori metropoli europee.

Sono questi oggi gli invasori della città, contro i quali ci organizziamo dalla città: dai padroni del ciclo dei rifiuti ai gruppi di investimento come i Friedkin o The Social Hub.

Come agiscono?

Il processo di mercificazione consiste nella messa a valore di ogni bene e servizio: gli esempi storicamente al centro delle lotte sono la sanità o l’acqua; ma in realtà questo processo ha coinvolto un’ampia gamma di attività, con ripercussioni sociali ed ambientali pesantissime. Basti pensare alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti che sono stati appaltati a privati con conseguenze disastrose sulla salute di interi quadranti della città e della provincia; o al trasporto pubblico totalmente inadeguato che sarebbe invece uno snodo chiave per la vivibilità dei quartieri. L’elemento più pervasivo di questo meccanismo di mercificazione è però la messa a valore del suolo.

La messa a valore del suolo.

Come Ecoresistenze abbiamo individuato nel consumo di suolo, come conseguenza della sua messa a valore, un fulcro della battaglia ambientalista nel contesto cittadino: un punto importante di contatto tra devastazione ambientale su scala locale e cambiamenti climatici su scala globale, tra necessità collettive e scelte politiche; ma anche un terreno su cui costruire le alleanze con i settori sociali più conflittuali – a partire dalla lotta per la casa – e su cui organizzare l’opposizione a partire dalle vertenze territoriali.Infatti, le contraddizioni sono state amplificate a dismisura con l’ingresso della città in una dimensione di crescente finanziarizzazione.

Un bisogno primario come il diritto all’abitare è diventato una merce, sottoposta alle leggi ed alle oscillazioni del mercato e quello che si costruisce non corrisponde a necessità reali, ma si privilegiano destinazioni maggiormente valorizzabili: hotel, centri commerciali, parcheggi, stadi. Il consumo di suolo derivante è diventato un problema pressante negli ultimi anni, dal momento che icontraccolpi più evidenti (dissesto idrogeologico, aumento delle temperature, aria irrespirabile) sonofrutto del concorso di uno scenario generale di cambiamenti climatici e di un ambiente metropolitanoche si priva della protezione data da suolo permeabile e vegetazione.

Non solo cementificazione.

Comprendere il meccanismo generale di mercificazione che stringe la metropoli ci permette però di combattere queste dinamiche anche quando non si presentano solo come cementificazione: anche gli spazi risparmiati dalla cementificazione possono diventare oggetto di speculazione, nel momento in cui viene assegnato un valore al “servizio ecosistemico” che offrono (ad esempio ossigenazione, mitigazione del calore e del rumore) in un sistema in cui ad ogni “servizio” corrisponde un prezzo.

A chi i guadagni e a chi gli scarti.

I quartieri popolari, più periferici ma a maggior densità abitativa, sono quelli in cui vengono collocati la maggior parte degli impianti inquinanti, dove il verde è più scarso o meno curato e fruibile, dove la carenza di trasporto pubblico costringe ad un maggiore utilizzo delle automobili.

Lo stesso “Piano Clima” approvato dal Comune l’anno scorso evidenzia la presenza di 3 o più patologie croniche proprio nelle zone che rispondono a queste caratteristiche – in particolare il quadrante est della città. Le trasformazioni urbane nel contesto della città-merce hanno infatti stabilito una dinamica centro-periferia in cui il centro (polo attrattivo degli investimenti e delle attività) assorbe risorse e produce gran parte dei consumi; in periferia (meta di chi viene espulso dalla gentrificazione dei quartieri centrali o più attrattivi) vengono invece delocalizzati gli scarti di questi consumi. Un dato impressionante a supporto di questa tesi riguarda ad esempio la produzione di rifiuti: a fronte di una popolazione doppia nel VII Municipio rispetto al I Municipio, il VII Municipio produce il 10% di rifiuti in meno del I [Tosato, Medici, Journal of Material Science and Technology Research, 2024]. Questo a causa del massiccio afflusso di turisti e della concentrazione di locali nelle zone centrali, che le rendono il luogo dell’iper-consumo del turismo predatorio.

Un consumismo a cui risponde il proliferare di attività del cosiddetto terziario povero (bar, ristorazione) che impiega gran parte dei lavoratori sfruttati di Roma: questa è la principale risorsa che il centro assorbe dalla periferia.In una città sempre più precaria dal punto di vista ambientale, la raccolta dei rifiuti è “un’emergenza” da gestire tramite il prolungamento del tempo di vita delle discariche com’è stato il caso di Malagrotta, chiusa nel 2013 ma la cui bonifica è iniziata nel 2023, o di Roncigliano, la cui vita è stata prolungata a colpi di decreti fino a fine 2022. Entrambe le discariche, ricordiamo, sotto la gestione di Cerroni, il “re della monnezza” romano.

Proprio in occasione del Giubileo il Governo ha attribuito a Gualtieri poteri speciali per provvedere alla gestione dell’afflusso straordinario: la risposta è stata bruciare I rifiuti, in una città che non arriva neanche al 50% di raccolta differenziata. Rifiuti il cui peso ecologico, dallo stoccaggio al trattamento e (ora) all’incenerimento ricade sempre sulle zone periferiche. Ugualmente, l’inquinamento dell’aria è trattato in maniera altrettanto emergenziale: domeniche ecologiche e targhe alterne a cui ha fatto seguito una nuova fascia verde ZTL che arriva fin quasi al Raccordo. Anche il costo della qualità dell’aria ricade sulle fasce popolari: su chi deve spostarsi verso il centro per lavorare, sui più giovani e i più anziani che non possono contare su una rete di trasporto pubblico funzionante; gli stessi abitanti che poi dalla “fascia di garanzia” dell’aria pulita risulteranno esclusi.

In questo presente, quale futuro?

Esiste in questa città un bisogno concreto di non morire per la qualità dell’aria, per l’inquinamento del suolo e per le ondate di calore estive.

Eppure le risposte della classe dirigente non sono soltanto inadeguate alla dimensione sistemica del problema, ma sono anche intrise di ipocrisia. Il “greenwashing” – di cui la sinistra a cui appartiene Gualtieri è campionessa – è ormai una pratica diffusissima con cui le amministrazioni coprono la loro negligenza e il loro mettere gli interessi della popolazione all’ultimo posto nell’agenda politica.

Abbiamo visto le gravissime conseguenze nelle alluvioni in Emilia-Romagna e in quella ancor più recente in Toscana: la messa in sicurezza dei territori non è una priorità in questo Paese, dove invece le situazioni a rischio sono innumerevoli. Sembra invece essere più pressante l’investimento nel riarmo, tanto da svincolarlo dal bilancio che invece ha da sempre strozzato la spesa pubblica in Unione Europea. Lo stesso Gualtieri rivendica il finanziamento del palco per la piazza per il riarmo promossa dagli europeisti a Roma.

Di fronte al futuro di macerie che ci vogliono consegnare, fatto di devastazione ambientale, miseria e guerra, rilanciamo la necessità di organizzare le Ecoresistenze rimettendo al centro, a partire dalle lotte territoriali, l’inversione delle priorità profitto privato-benessere collettivo.