Di ritorno dal Kurdistan, ragionando di polo islamico e imperialismo europeo

Il nostro resoconto dell’iniziativa antimperialista tenutasi mercoledì in Università assieme alla Rete Dei Comunisti Bologna​, la prima di un ciclo di incontri nazionali in cui porteremo l’esperienza diretta vissuta dai nostri inviati in Kurdistan al servizio di assemblee e dibattiti con quei compagni che oggi sanno che la lotta anticapitalista deve prevedere un’analisi e un’azione attente dentro e fuori dai nostri confini.

In occasione degli ultimi eventi sul fronte di Kobane, la Campagna “Noi Restiamo” sta organizzando in diverse città italiane degli incontri per approfondire il dibattito e il confronto non solo sulla situazione in

Kurdistan e sulla vittoria della ‘Stalingrado’ del Rojava, ma anche sui precari equilibri di un Medio Oriente dove cresce l’influenza dello Stato Islamico e anche sul ruolo che l’Unione Europea ha giocato e gioca tuttora in questi processi.

L’ultima iniziativa si è svolta mercoledì 4 febbraio all’Università di Bologna.

Ospite Marco Santopadre, della redazione del quotidiano online Contropiano, che a partire da un’analisi degli attentati di Parigi ha ripercorso la formazione del polo imperialista europeo per poi passare all’emergere evidente di un egemonismo delle borghesie arabe islamiste che aspirano a una maggiore presenza sullo scacchiere mondiale oltre che a un ruolo dominante in casa propria, in aperta competizione con le mire dell’imperialismo statunitense ed europeo.

Innanzitutto l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, qualcosa di ben diverso dagli attacchi più sanguinosi a Londra e Madrid nel 2004-2005 che potevano essere considerati un proseguimento lineare rispetto a quelli dell’11 settembre del 2001. Nel 2015 infatti, a differenza delle altre volte, la reazione dei leader europei si presenta sin da subito compatta e decisa, presentando la questione per quella che è: un problema europeo, non semplicemente occidentale. Un passo in avanti dell’Unione Europea come blocco unitario, quindi, che utilizza l’attacco esterno per imprimere un colpo di reni alla propria legittimazione anche interna oltre che per giustificare eventuali future azioni belliche in diversi quadranti dell’Africa e del Medio Oriente, laddove Parigi e l’Ue tutta saranno da ora in poi maggiormente legittimate a intervenire in nome del contrasto all’integralismo islamico e della difesa dei “valori e della civiltà occidentale”.

È ben visibile oggi come la sicurezza, l’unione, la preparazione dell’Europa unita si sia notevolmente rafforzata e come quindi possa tentare di imporsi maggiormente nei tanti contesti di guerra nel mondo anche da sola, senza più aspettare le mosse statunitensi. Pugno di ferro all’interno delle frontiere (stiamo tutti ad aspettare quale sarà la prossima mossa criminale targata Troika contro il popolo greco) e atteggiamento decisamente “da bullo” fuori dai confini. Le periferie bruciano, e se questo è funzionale agli interessi del capitale, che brucino pure a lungo.

Ma non tutto è sotto il controllo degli imperialisti nostrani, perché borghesie di altre latitudini hanno iniziato a muoversi: concorrenti non indifferenti, che possiedono le maggiori scorte di petrolio del globo, che pur avendo un discreto potenziale militare ed economico non sono praticamente rappresentati ai G8 o ai G20.  Non tutto è sotto il controllo degli imperialisti nostrani, perché i movimenti armati islamisti che sono stati creati, addestrati e armati per destabilizzare l’area mediorientale hanno fatto un passo più lungo di quel che si credeva possibile: ed ecco lo Stato Islamico, uno stato a tutti gli effetti, con un proprio sistema giudiziario, d’istruzione, sanitario, con le tasse e la banca nazionale, che cancella i confini fissati alla fine della prima guerra mondiale da francesi e britannici. Ecco il Califfato, con ingenti risorse da destinare allo sforzo bellico, che sfida le strategie degli USA e dell’UE e mira a cancellare dalla mappa i paesi dell’area in nome della creazione di una statualità islamista che spazzi via le attuali classi dirigenti. Comprese quelle di quei paesi – Turchia e Arabia Saudita in testa – che pure hanno enormemente contribuito al rafforzamento dell’Isis divenuto Is, utilizzato come strumento di destabilizzazione e contrasto nei confronti dei governi di Baghdad e Damasco e di guerra sporca contro l’asse sciita.

È in questo contesto che si scopre la resistenza curda, capace di rallentare (e bloccare) l’avanzata dell’esercito jihadista e mobilitare un popolo organizzato dal PKK e dal PYD all’interno di una lotta che non teme di definirsi antimperialista. Da qui, il secondo protagonista della serata di Bologna (che nei prossimi giorni verrà replicata a Roma, Bergamo e in altre città): il resoconto di alcuni attivisti della campagna Noi Restiamo, tornati da una settimana dal Kurdistan turco, che hanno riportato le esperienze di autorganizzazione di una popolazione curda che incrociate alla forte e capillare organizzazione impressa alla resistenza dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan attraverso le milizie popolari e gli altri fronti di lotta hanno permesso una vittoria di portata storica. A portare altre informazioni durante la serata anche un collegamento in diretta dal Kurdistan, con aggiornamenti dai compagni del BDP curdo (Partito della Pace e della Democrazia) di Gaziantep e Diyarbakir.

Una buona assemblea quindi, per non fermarsi al mero aspetto di cronaca della resistenza curda ma andare più in là, per non porsi solo nella veste di tifosi ma assumere il ruolo di partigiani coscienti della propria posizione antimperialista. Una posizione all’interno della quale il miglior contributo alla lotta e alla resistenza dei popoli, e in primo luogo di quello curdo, non può che essere il rafforzamento qui ed ora di una battaglia contro l’imperialismo di casa nostra, all’interno e contro un polo europeo sempre più aggressivo al proprio interno e pericoloso nei quadranti – Medio Oriente innanzitutto – dove interviene o mira ad intervenire.