Tra realtà e retorica: ribellarsi è giusto

A scuola, nel corso degli anni, abbiamo imparato che esiste un flusso collettivo che si muove, agisce e viene agito, determina e viene determinato dai singoli: è quella forza che si conosce col termine Storia. Abbiamo studiato che questo dinamismo collettivo può sembrarci immobile per secoli, poi improvvisamente accelera e ancora rallenta, e può quasi fermarsi anche se in realtà non si ferma mai. Quando eravamo in procinto di finire i nostri studi superiori, ci hanno detto che, arrivati troppo vicini a noi, la Storia si trasforma e non occorre più studiarla. Iniziano i nostri giorni, il Presente. Qui entriamo in campo noi, che invece sappiamo che il presente è inserito nella storia, anche in quella recente.

Oggigiorno la Storia si muove, non c’è dubbio. Lo fa con una discreta velocità. Mai abbiamo visto tanta forza nel celebrare come quest’anno l’Europa unita e la sua giovane cittadinanza, la generazione Erasmus, che compiono rispettivamente 60 e 30 anni. Anniversari che ci impongono di vivere come traguardi finalmente raggiunti, festeggiati con vertici come quello del 25 marzo a Roma o illuminazioni giallo-blu in ogni palazzo istituzionale come quelle di oggi.

Mai come oggi vediamo un ribaltamento semantico dei termini politici: dal Partito Democratico sceso in piazza il 25 aprile dietro la scritta “Patrioti d’Europa”, rifiutando quel termine “partigiano” che effettivamente per esso non può avere senso, passando per la richiesta del governo golpista ucraino all’Italia e all’UE di arrestare ed estradare i militanti antifascisti di ritorno dal Donbass, fino all’elezione di Macron. Un banchiere prestato alla politica, tra i fautori della loi travail e spacciato per la nuova “speranza che si aggira per l’Europa”, il vincitore del fascismo, del populismo, dell’anti-europeismo, che vince al rintocco dell’Inno alla gioia (inno dell’UE) e non della Marsigliese, che ha vinto non perché abbia realmente convinto il popolo francese ma in contrapposizione allo spauracchio rappresentato dalla Le Pen.

Noi rifiutiamo questa logica, non abbiamo paura del futuro, e siamo determinati a prendercene uno che non sia schiacciato dalla facile (e falsa) opposizione tra un liberismo imperialista e un conservatorismo fascista.
Noi viviamo ed analizziamo la realtà, e sappiamo che solo lo 0,4% dei giovani italiani partecipa ogni anno al programma Erasmus, mentre il 40% è senza uno straccio di lavoro. Sappiamo distinguere tra l’ideologia imposta dall’alto e la nostra quotidianità. Sappiamo che, parole dai rapporti Caritas, “negli ultimi anni sembrano aggravarsi le difficoltà di chi può contare su un’occupazione, i cosiddetti working poor, magari sotto occupati o a bassa remunerazione” e che “oggi i dati Istat descrivono una povertà che potrebbe definirsi inversamente proporzionale all’età, con la prima che tende a diminuire all’aumentare di quest’ultima”, che tradotto in numeri vuol dire che oltre due milioni di under 35 attualmente sono da considerarsi poveri.

Noi sappiamo bene che futuro hanno in mente per noi i piani alti del potere continentale. E sappiamo che nel presente ci vogliono far scegliere unicamente tra due opzioni: seguire i 200.000 coetanei che nell’anno passato hanno scelto l’estero come prospettiva a medio/lungo termine, volenti o nolenti perché così bisogna fare, oppure rimanere qua a cercare un’occupazione sottopagata e instabile. Sappiamo che, a seguire le loro indicazioni, solo 1 su 1000 ce la fa, solo una start-up tra innumerevoli, e lo sappiamo non solo perché lo viviamo ogni giorno sulla nostra pelle, ma perché ora hanno iniziato a dircelo loro stessi: i Renzi, le Merkel, i Macron. La Storia si velocizza ed è inutile continuare a prendersi in giro.

A Firenze oggi si consuma l’ennesimo atto di questo ballo antipopolare. Si chiude il Festival d’Europa, che alla presenza del ministro dell’istruzione Fedeli presenta la Carta della Generazione Erasmus, un vero e proprio documento politico elaborato da coloro che hanno partecipato lo scorso febbraio agli Stati Generali della Generazione Erasmus “per avviare un dialogo sui maggiori temi di interesse per il futuro dell’Europa”. L’ennesima trovata retorica sulla falsa integrazione e sulle false prospettive che l’Unione Europea sta pensando per noi.

La Generazione Erasmus non esiste, e chi la nomina o è in cattiva fede o ragiona non su base reale ma sull’onda delle proprie emozioni, probabilmente suscitate dal particolare punto di vista di cui dispone nel contesto sociale e culturale in cui è inserito. Un contesto sociale e culturale neppure lontanamente maggioritario.

I nostri coetanei della sponda mediterranea e quelli dell’est Europa sanno bene quel che esiste. Noi siamo i working poor, coloro che pur lavorando restano sotto livelli di vita dignitosi. Noi siamo i terroni d’Europa, quelli che dovrebbero sottomettersi a quell’infernale meccanismo comunitario che crea opportunità da una parte (nei paesi del centro-nord) e stagnazione nelle periferie.

Ma non tutto va sempre come dovrebbe andare, nella Storia e nel Presente. E sempre più siamo quelli che, tra una retorica che parla di generazione Erasmus e una realtà che vede solo sfruttamento e precarietà, scelgono di urlare: “ribellarsi non solo è giusto ma soprattutto necessario”.