L’elite rifiuta gli studenti di serie B… È L’ELITE CHE VA RIFIUTATA
Apprendiamo con rabbia il quadro emerso da ”Scuola in Chiaro”, uno strumento del ministero dell’ Istruzione che mira a dare uno spaccato delle diverse scuole d’Italia sulla base dei diversi fascicoli di autovalutazione. Si tratta di una sorta di ”catalogo degli istituti” che chiunque, famiglie, studenti, docenti alla ricerca della scuola più prestigiosa ha la possibilità di consultare. Ma cosa rende attrattive le scuole?
Sul conto del Liceo Classico Visconti di Roma, il primo coinvolto nella polemica di questi giorni e primo a modificare la propria descrizione non appena la notizia è trapelata, fino a ieri si leggeva: «Tutti gli studenti, tranne UN PAIO, sono di nazionalità italiana e nessuno diversamente abile».
Analogo il discorso per il liceo classico parificato Giuliana Falconieri a Roma Parioli: «Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla mrdio-alta borghesia romana» ciò, secondo loro, crea un’«omogeinità» che «facilita l’interazione sociale».
Ma non c’è limite al peggio visto che per il prestigioso liceo D’Oria di Genova «poveri e disagiati costituiscono un problema didattico». Insomma, la scuola ”migliore” è quella che favorisce le disuguaglianze, che vede la possibilità di un accrescimento culturale e personale solo nell’ambiente composto da alunni provenienti da una precisa classe sociale e che considera stranieri, poveri e studenti con disabilità un ostacolo, una nota didemerito per il prorpio curriculum.
Tutto questo purtroppo è coerente con il clima di trasformazione della scuola italiana: l’autonomia scolastica vive della necessità di rendere più attrattivi i propri istituti a livello territoriale per poter ricevere finanziamenti e sopperire ai continui tagli all’istruzione. Gli stessi School Bonus (introdotti con la Buona Scuola) vanno in questa direzione. Questa discriminazione su base territoriale è ancora più evidente quando si guarda alle esperienze di Alternanza Scuola- Lavoro: ci saranno istituti che per collocazione geografica e diversa base di partenza riusciranno a garantire agli studenti un’ alternanza migliore (e non mancheranno di farlo presente ai genitori, vista la necessità di aumentare gli iscritti) e riusciranno a procedere nel circolo vizioso. Le scuole periferiche o del sud Italia che soffrono già di problemi strutturali andranno invece incontro a un futuro di impoverimento inesorabile. Ultimo sfregio in ordine di tempo, il contratto firmato in questi giorni tra la ministra Fedeli e sindacati complici, che conferma e potenzia l’autoritarismo che il PD sta imponendo al mondo dell’istruzione; un accordo che il sindacalismo conflittuale si prepara a contestare duramente il 23 febbraio, giorno dello sciopero generale della scuola.
Quello che però avviene ora è un passo ulteriore, una trasformazione ideologica: la scuola, nodo strategico di un sistema perde la sua dimensione collettiva, universale di diritto alla conoscenza senza divisione o discriminazione di classe e di etnia, per piegarsi non solo alle esigenze di mercato (con l’Alternanza e la sua cornice dell’imparare a ”sapersi vendere nel modo migliore” lo vediamo bene), ma anche a quella di una nuova e nociva narrazione ideologica. Una narrazione che, accrescendo le diversità, non fa che creare quell’humus favorevole di discriminazione e odio nei confronti del diverso, dell’escluso e dell’emarginato. Questi non sono e non devono essere né valori né motivi di orgoglio. Per questo rivendichiamo una scuola pubblica, laica, inclusiva, che garantisca un’ istruzione di qualità per tutti e tutte.