No al prestito d’onore, l’ennesima svolta neoliberale in università.
NO AL PRESTITO D’ONORE, L’ENNESIMA SVOLTA NEOLIBERALE IN UNIVERSITA’
È notizia di pochi giorni fa, il Miur indaga sulle disponibilità economiche degli studenti “invitandoli” a chiedere un prestito “d’onore” per proseguire gli studi. Il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha inviato un questionario, tramite la società privata PwC, per sondare la possibilità di introdurre lo strumento del cosiddetto Prestito d’onore rivolto a quegli universitari che non riescono a pagarsi gli studi, soprattutto quelli delle regioni del Sud. Questa pratica è già stata introdotta da tempo negli Stati Uniti e ha provocato enormi problemi, generando una vera e propria bolla speculativa. Infatti, con l’aumento della disoccupazione e la crisi economica tantissimi studenti non sono più riusciti a restituire il debito e neanche ad accedere ad un’attività lavorativa che gli permettesse di iniziare a restituire le ingenti somme prese a prestito.
L’impegno di incrementare le risorse destinate alla scuola pubblica che si leggeva nel famoso contratto di governo si rivolge ora contro gli studenti chiedendo loro di indebitarsi per esercitare un diritto. Dopo un mese dall’insediamento il governo del “cambiamento” giallo-verde mostra ancora una volta la sua vera faccia: proseguire, sulla stessa linea dei governi che li hanno preceduti, le politiche di smantellamento dell’università pubblica, di aziendalizzazione e di elitarizzazione, rendendo l’università accessibile soltanto chi se lo può permettere o a chi deciderà di indebitarsi per anni. Dopo aver tagliato il fondo di finanziamento ordinario all’università del 20% durante la crisi, aver aumentato le tasse universitarie negli ultimi dieci anni del 61% e aver provocato un’ingente differenziazione fra gli atenei di serie A per l’elite e di serie B per tutti gli altri le politiche antipopolari dettate in primis dal pilota automatico dell’Unione Europea non accennano a fermarsi.
Come faranno gli studenti, soprattutto quelli delle regioni meridionali, a cui il provvedimento è soprattutto rivolto, a ripagare il debito in una condizione di disoccupazione giovanile al 40% e di precarizzazione sempre maggiore del lavoro dovuta a riforme come il Jobs Act?
Un governo del reale cambiamento non ruba il futuro alle giovani generazioni costringendole ad avere un debito ancor prima di un lavoro stabile. Un governo del reale cambiamento mette in discussione i vincoli imposti dall’Unione Europea al bilancio statale in modo che si possano portare avanti politiche di spesa sociale che possano permettere a tutti di esercitare i propri diritti come quello all’istruzione.
Non accetteremo supini l’ennesimo attacco alle nostre prospettive di vita dettato dall’alto. Dobbiamo organizzarci per costruire una vera alternativa a chi ha fatto della nostra generazione la generazione working poor.