Aboliamo i decreti sicurezza, 9 novembre tutti a Roma!

Negli ultimi 2 anni i governi che si sono succeduti hanno dimostrato un significativo aumento di interesse per il tema repressivo. Benché lo Stato italiano non fosse certo garantista prima di quest’ultimo periodo, la questione “sicurezza” è divenuta talmente centrale nel dibattito politico che ogni governo – di qualsiasi colore – che si sussegue emana decreti sull’argomento.

Il primo vero salto qualitativo emblematico sul tema è stato fatto dal Partito Democratico con i due decreti Minniti su sicurezza e immigrazione. Sui solchi di questi ultimi si sono innestati i decreti Salvini e Salvini Bis che riproponendo il binomio immigrazione-insicurezza hanno inasprito i dispositivi liberticidi già predisposti dai decreti Minniti e a colpire in modo più puntuale le espressioni di lotta sindacale e sociale. Meritano menzione sul versante della normalizzazione il cosiddetto daspo urbano e il reato di accattonaggio che permettono di colpire i poveri e gli emarginati (in luogo della povertà e dell’emarginazione) nonché l’inasprimento dei reati per occupazioni di immobili, accensioni di fumogeni e di blocco stradale. Il clima repressivo ha portato a continue limitazioni del diritto a manifestare in Italia, ci si riferisce agli episodi di autobus fermati e i passeggeri identificati in blocco prima di ogni piazza con portata nazionale oppure alle recentissime condanne contro il movimento NO TAV, come anche alle quaranta gravi denunce che hanno colpito il movimento contro le basi militari sardo. La lista degli atti intimidatori e repressivi contro le lotte potrebbe essere lunghissima, ricordiamo ad esempio i duri sgomberi dell’ultimo anno, come quelli dell’Asilo di Torino o quello brutale dell’occupazione di Via Cardinal Capranica a Roma, eseguito con un dispiegamento di forze senza precedenti e senza riguardo per l’incolumità degli occupanti tra cui anche decine di minori. Oppure, ancora, lo sgombero di XM24 a Bologna in cui la giunta PD ha mobilitato perfino la ruspa tanto cara all’avversario Salvini, mettendo nero su bianco come di fatto si perseguano le stesse politiche di polizia in nome del profitto e della speculazione.

Sul versante immigrazione invece mentre Minniti aveva “esternalizzato” le frontiere concludendo i famosi accordi con la Libia (che si aggiungono a quelli dell’Unione Europea con la Turchia di Erdogan), i decreti Salvini hanno invece agito principalmente sull’inserimento dei soggetti migranti nel tessuto sociale dei territori di arrivo tramite al grave definanziamento e depotenziamento del sistema di accoglienza (di cui stanno facendo le spese anche centinaia di lavoratori del settore).

In questa situazione a farne le spese sono soprattutto coloro che vivono ai margini della nostra società e delle nostre città: resi invisibili dai dispositivi legali di cui sopra e dalle norme sull’immigrazione, i migranti si trovano in una situazione di continuo ricatto e spesso in competizione con gli strati più poveri della popolazione locale, spianando in questo modo la strada alle destre più sfacciatamente razziste e fasciste..
Il ruolo dei media nel predisporre il terreno fertile del consenso securitario è innegabile: a fronte del dato sulla diminuzione dei fenomeni criminali, il dibattito è centrato sull’asserita emergenza sicurezza cui fa eco una generica e generale vulgata securitaria e manettara che ci viene vomitata addosso giorno dopo giorno a reti unificate.

Ma se quindi non c’è nessuna reale emergenza sicurezza, quali sono le origini del teorema securitario? E dunque, chi ne trae vantaggio? Senza sottovalutare gli interessi elettorali dei partiti che sciacallano sulla questione sicurezza, giova estendere la valutazione anche al piano internazionale. Questa più ampia visione permette di considerare che il progetto ordoliberale dell’Unione Europea, a fronte di rigore, tagli, efficienza e manovre lacrime e sangue svantaggia la maggioranza della popolazione. Ai fini di un’applicazione delle misure antipopolari targate UE, i governi europei devono prevenire l’espressione del malcontento e la sua eventuale diffusione con un movimento che si opponga a nuove ondate di austerità.

Ed infatti oltre alla repressione in salsa italiana, questa la vediamo anche in Francia laddove i Gilet Jaunes si sono resi protagonisti dell’opposizione agli equilibri che reggono l’UE scagliandosi contro le misure antipopolari continuamente proposte dal vero e proprio centro economico e politico dell’unione: le multinazionali. Anche qui la repressione si fa sentire: i gilet gialli registrano quantità di arresti da capogiro, del pari, le loro proteste vengono brutalmente caricate.

Analogamente emblematico è il caso catalano in cui la lotta per l’indipendenza viene duramente colpita da parte dello stato spagnolo con il beneplacito dell’Unione Europea (benchè a parole si erga a garante dell’autodeterminazione dei popoli). In Catalogna, nelle ultime settimane sono stati condannati a cento anni di carcere complessivi alcuni esponenti del movimento indipendentista “rei” di aver proclamato il referendum del 2017. A queste ondate repressive ha però risposto compattamente il popolo catalano scendendo in strada in massa.
Ed è proprio la mobilitazione e scendere in strada che riteniamo sia l’ unico strumento reale di opposizione che possa cambiare lo stato di cose presente.

9 novembre tutti in piazza!