Rompiamo le catene della repressione, la lotta non si arresta!
Il 2019 si chiude con l’arresto di Nicoletta Dosio, storica militante del movimento No Tav e coordinatrice nazionale di Potere al Popolo. Questa vicenda repressiva è emblematica di un irrigidimento delle politiche securitarie e punitive che si verifica nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei territori e nel complesso della società. Pochi giorni prima, gli operai di Prato e solidali, tra cui due studentesse di 17 e 18 anni, a seguito di una vertenza sindacale si sono visti recapitare multe salatissime, prima applicazione del reato di blocco stradale introdotto dai decreti sicurezza Salvini, mentre è fissata per il 7 gennaio la prima udienza presso il tribunale di Nuoro per i pastori sardi rei di aver preteso una paga adeguata per il proprio lavoro.
Gli ultimi governi hanno mostrato un crescente interesse per il tema repressivo. In due anni sono infatti stai emanati ben 3 decreti sicurezza destinati a colpire l’opposizione politica e sindacale e i migranti.
Ci si potrebbe chiedere, in una fase storica quale è quella attuale di frammentazione sociale e normalizzazione del conflitto, se davvero i governi, anche i più antidemocratici e reazionari, avessero bisogno di emanare norme di questo portato. La motivazione sottesa all’innalzamento repressivo si rinviene in una valutazione di più ampio respiro che consideri il contesto sociale ed economico italiano, europeo e mondiale.
Siamo oggi agli arbori del 2020, segnando così l’entrata nel dodicesimo anno dall’insorgere della crisi non solo economica, ma anche sociale e politica. A livello internazionale, al di là della retorica del villaggio globale ormai riconosciuta come falsità anche dagli editorialisti del Corriere della Sera, i vari blocchi geopolitici sono in competizione crescente tra loro. All’interno di tale competizione, l’Unione Europea persegue un progetto ordoliberale fatto di rigore, austerità, efficienza mentre aumentano costantemente le spese militari. E così, è aumentata la polarizzazione delle ricchezze nonché le disuguaglianze sociali. A ciò fa seguito un inevitabile malcontento di fasce sempre più ampie di società in via di proletarizzazione tale da determinare una pesante crisi di egemonia della borghesia europeista continentale.
Questa crisi si manifesta in forme e tempi differenti ma con un minimo comune denominatore: la politicizzazione delle contraddizioni. Detto in parole semplici: venuta meno ogni possibilità seria di contrattazione sociale la “nostra gente” identifica le responsabilità dell’immiserimento della propria condizione materiale in chi detiene il potere, scagliandocisi contro con mobilitazioni e/o con il voto di vendetta.
La manifestazione di questo scontro è vario, solo per fare degli esempi basti pensare alla crescita di partiti che si professano “antisistema”, a movimenti come quelli del Gilet Gialli e quelli indipendentisti in Catalogna, la Brexit, il NO al referendum costituzionale di Renzi… Tutti fenomeni che mettono a dura prova gli strumenti di governance novecentesca, non a caso la crème de la crème degliintellettuali borghesi ciclicamente torna sul “problema della democrazia” che permette a poveri e ignoranti di avere lo stesso peso di professori e tecnici competenti.
La crisi di egemonia crea instabilità politica, per questo assistiamo a una stretta repressiva in tutto il continente. È proprio qui che si colloca l’irrigidimento repressivo in odor di fascismo dei decreti sicurezza e l’attenzione delle procure alle lotte sociali sindacali e politiche. In Italia, dove il conflitto si esprime principalmente attraverso il voto (mentre le piazze latitano e vengono pacificate da movimenti come quello della Sardine) le misure repressive svolgono un funzione essenzialmente “preventiva”, ovvero non si sviluppano in risposta ad un conflitto generalizzato ma lo prevengono colpendo i militanti e gli attivisti delle organizzazioni politiche e sindacali, ma hanno come obiettivo chi gli sta dietro, i lavoratori e le lavoratrici, chi perde il lavoro, chi perde la casa.
In tale contesto nefasto si deve aggiungere il ruolo dei media abili nel predisporre il terreno fertile del consenso securitario. A fronte dei dati oggettivi sulla diminuzione dei fenomeni criminosi, l’emergenza sicurezza viene posta al centro del dibattito pubblico sviando ogni evidenza legata ai problemi sociali della popolazione. La normalizzazione e la repressione hanno così comportato lo sviluppo di una generica e generale vulgata securitaria e manettara che plaude cieca agli innalzamenti repressivi.
Si conferma centrale la battaglia contro la repressione e la pretesa dell’amnistia per tutti i reati legati alle lotte sociali. Un risultato che dipenderà dalla capacità di attivare una presa di coscienza collettiva, popolare, rispetto ai rischi striscianti della repressione. E, di conseguenza, dipende dalla nostra capacità e rapidità di mobilitazione.
Con questa convinzione saremo a Torino l’11 Gennaio alla manifestazione per la liberazione di Nicoletta, Giorgio, Mattia, Luca e per tutti i No Tav colpiti dalla repressione. Appuntamento ore 13,30 in Piazza Adriano!
Per approfondimento sui pacchetti sicurezza:
– Breve guida al “Pacchetto Minniti”
– Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza