Quando c’è bisogno di soldi l’Unisi li cerca nelle tasche degli studenti!

All’Università di Siena non basta essere tra gli atenei con la tassazione più alta in Italia; non gli basta disinteressarsi, al pari di Comune e altre istituzioni, di una dimensione cittadina sempre più escludente, che tra affitti esorbitanti e trasporti sempre più cari preclude l’accesso all’istruzione alle fasce più povere della popolazione, mentre ogni spazio giovanile di aggregazione viene cancellato dalle esigenze di una gentrificazione sempre più accentuata.

Dopo vari annunci, ieri, al tavolo tecnico con le associazioni studentesche, l’Università di Siena ha dichiarato di voler aumentare le tasse di 3 milioni. Non è la prima volta che la dirigenza Unisi si destreggia tra gli importi da chiedere agli studenti, con tavoli tecnici in cui il ruolo di questi ultimi è stato sempre marginalizzato. Quando bisognava cancellare un appello tutta la componente docente richiamava a un senso di comunità che doveva prevalere sugli interessi delle singole parti, quando invece il tema era la tassazione qualsiasi intervento era impossibile per qualche motivo che era al di fuori della responsabilità dell’ateneo: una sorta di “vincolo esterno”, per mutuare una formula ormai di moda. Anche stavolta la limitatezza dei fondi stanziati per l’università verrà usata come scusante per aumentare le tasse; ma nonostante sia vero che l’università italiana vive un pesante sottofinanziamento, non possiamo non denunciare come il problema sia più profondo e riguardi una consapevole ridefinizione della fisionomia dell’Istruzione Superiore.

Difatti, quando un paio di anni fa l’Unisi riscrisse il proprio regolamento tasse, fregiandosi dei suoi intenti progressivi, non mancarono le critiche da parte della componente studentesca che annunciava come le promesse di una tassazione più equa si sarebbero infrante sulle distorsioni del sistema di ripartizione dei fondi a livello nazionale. L’Università di Siena non aumenta le tasse esclusivamente per una mancanza di risorse ma anche perché è parte integrante e promotrice attiva di un meccanismo distorto di competizione interna al sistema universitario. Le modalità di ripartizione dei fondi infatti spingono i vari atenei a contendersi le risorse stanziate in una corsa in cui dei poli di eccellenza vanno costruendosi sottraendo soldi – e dunque servizi e docenti – ad atenei di “serie B”. La distribuzione dei Punti Organico, ognuno equivalente allo stipendio medio di un docente ordinario, non è infatti effettuata sulla base delle esigenze del singolo ateneo, ma in relazione a un Indicatore di Sostenibilità Economico-Finanziaria (ISEF). In sostanza ciò significa che i pensionamenti avvenuti in una università possono essere rimpiazzati con assunzioni in un’altra, purché questa abbia un bilancio più solido. Poiché tale ISEF dipende dalle tasse universitarie i vari rettori e amministratori generali sono spinti ad aumentarle, consapevoli dell’inesistenza di qualsiasi controllo sul relativo tetto previsto per legge. Gli atenei devono decidere se chiedere importi che permettano ai meno abbienti di accedere alla formazione universitaria, condannandosi alla marginalità e in futuro alla chiusura, oppure espellerne i settori popolari, con l’incentivo a superare soglie legali perché al contrario di una sanzione riceveranno addirittura un “premio” in riferimento all’ISEF.

È su questa seconda strada che l’Unisi si è incamminata, perché nel processo che vede il depauperamento delle università del Sud a favore di quelle del Nord essa vuole imporsi come istituto di “serie A”, puntando in particolare ad acquisire una proiezione internazionale. Questa scelta è perfettamente in linea con gli indirizzi definiti dal nuovo ministro dell’Università Manfredi, che si spenderà per l’internazionalizzazione degli atenei italiani e che appena qualche giorno fa, a Torino, ha affermato che emigrare deve essere considerato un valore, quando in realtà è l’unica prospettiva che la classe dirigente propone ai giovani di questo paese

Noi vogliamo un futuro qui e ora, e non siamo disposti a pagare la riorganizzazione di un’istruzione sempre più piegata al profitto e alla ristrutturazione del mercato del lavoro sul piano comunitario, che favorisce un centro forte a discapito di una periferia defraudata. Noi Restiamo, e lottiamo!