La costruzione di una società migliore non può che partire dalla rottura con quella esistente: 13 giugno, Milano.

“Siamo alla fine dell’emergenza, il peggio è passato, la macchina è ripartita”, da settimane siamo bombardati dagli echi di questa retorica del lieto fine: ce l’abbiamo fatta. Ma il superamento del picco è piuttosto il momento per trarre le conclusioni sui mesi appena trascorsi.

L’Italia è stata uno dei paesi maggiormente colpiti dalla diffusione del virus Covid-19, e la sola regione Lombardia ha registrato quasi la metà dei decessi totali del paese.
Fin dall’inizio dell’emergenza, la regione più ricca del paese ha dimostrato sulla base di quali priorità si sarebbero prese le decisioni più urgenti: la stragrande maggioranza degli stabilimenti produttivi della regione è rimasta in funzione, in preciso accordo con gli interessi di Confindustria e Assolombarda. Le conseguenze di questa gestione sono evidenti dalla coincidenza tra le zone di concentrazione degli stabilimenti e le aree di più elevata diffusione del contagio.

La città di Milano si è fatta orgogliosamente simbolo della produttività inarrestabile, dell’efficienza ad ogni costo, sotto lo slogan della campagna promossa dal sindaco Sala #MilanoNonSiFerma. L’immagine ormai consolidata della città dinamica viene impiegata ancora una volta per sostenere mediaticamente politiche del lavoro fatte a discapito della salute dei lavoratori.

Questo vale in modo particolare per i giovani, corteggiati dalla retorica dell’essere adattabili, mentre vengono mandati in un mondo del lavoro fatto di stage e tirocini spesso non retribuiti, per fare esperienza, per iniziare a muoversi nell’ambiente. Un modello istituzionalizzato (con la benedizione dei grandi sindacati confederali) durante l’EXPO 2015, non a caso tenutosi proprio a Milano.
La gestione criminale dell’emergenza sanitaria in Lombardia non è altro che l’espressione di un modello di sviluppo incentrato su sfruttamento, competizione e profitto ad ogni costo. Basti pensare che mentre la produzione rimaneva aperta e i lavoratori morivano c’era chi speculava sulla crisi, come per la farsa dell’ospedale-fiera.

Si tratta di un modello che, come giovani, non soltanto subiamo sulla nostra pelle, ma che ci viene anche trasmesso come modalità di ragionamento: ci viene insegnato a competere in qualsiasi contesto a partire dalla scuola e fino all’università, perché non c’è posto per tutti, le risorse non bastano per tutti, e allora si deve eccellere, diffidare dei compagni di corso e se necessario ostacolarli. Sfruttamento e competizione sono espressione di un modello di produzione capitalista che ora più che mai mostra la propria pericolosa inadeguatezza per il benessere collettivo.

Non esistono soluzioni parziali né tentativi di cambiamento in un sistema che non può essere riformato. Sappiamo che un’alternativa al modello vigente è possibile ed esiste, e proprio l’emergenza sanitaria ci ha permesso di verificarne la validità: l’arrivo in Italia della equipe di medici cubani è espressione di una strada da seguire, che riconosce l’importanza dell’istruzione e della ricerca pubbliche finalizzate alla salvaguardia del benessere dell’umanità. Per questo scendiamo in piazza con chi, come Potere al Popolo, lavora per un cambio di rotta radicale in questo senso.

Domani, 13 giugno, rispondiamo e prendiamo attivamente parte alla mobilitazione nazionale per chiedere il commissariamento della regione Lombardia. La costruzione di una società migliore non può che partire dalla rottura con quella esistente.

Noi Restiamo