WORK AND CLASS

Rider, camerieri, ripetizioni, cassieri, baby-sitter: sono tantissimi gli universitari che, per matenersi, sono costretti a svolgere “lavoretti” con paghe bassissime, orari labili e senza nessun tipo di contratto o diritto sul lavoro, che spesso vanno a impattare anche pesantemente sui loro studi e sulla loro vita privata. In troppi subiscono quotidianamente lo stress e la mancanza cronica di tempo dovuti alla condizione di studente-lavoratore, ma la Sapienza non sembra considerarlo un problema degno di nota.

Eppure non si tratta un fenomeno poco diffuso: secondo Almalaurea, nel 2015 il 65% degli studenti italiani ha dichiarato di lavorare o aver lavorato durante il proprio corso di studi, e dalla nostra inchiesta sugli studenti-lavoratori della Sapienza emerge che 2 su 3 sono pagati meno di 8 euro l’ora, circa il 65% lavora al nero o ha un contratto in grigio, il 74% non ha abbastanza tempo per altre attività oltre allo studio e al lavoro e più di metà non ha il tempo nemmeno per studiare a sufficienza.

La crisi economica scoppiata con il covid-19 sta peggiorando ulteriormente le circostanze:  sempre più studenti sono costretti a lavorare, anche a causa di difficoltà economiche insorte nel proprio nucleo familiare, e i pochi lavori che si riescono a trovare stanno diventando sempre più precari e sottopagati.

A prima vista non sembrerebbero esserci vie d’uscita, ma, in realtà, uno strumento per consentirci di avere il tempo di vivere e studiare senza dover per forza lavorare c’è: è la “borsa di collaborazione”,  una borsa con la quale l’università paga lo studente per svolgere mansioni utili all’ateneo (magari in biblioteca, in laboratorio o all’accoglienza matricole). Un particolare tipo di borsa di collaborazione è inoltre il tutorato, con il quale, dietro pagamento, ci si mette a disposizione degli studenti più giovani per chiarimenti e spiegazioni aggiuntive riguardo ad una materia d’esame. Oltre a fornire più servizi per tutti, le borse di collaborazione permettono agli studenti-lavoratori di essere impiegati in un ambito coerente con i loro studi e, poiché “lavorano” all’interno dell’università, di non dover fare avanti e indietro fra casa, università e lavoro, cosa per niente banale con i trasporti romani (resi ancora più impraticabili dalle necessità del distanziamento sociale), soprattutto considerando che secondo la nostra inchiesta il 50% degli studenti-lavoratori vive in periferia e il 15% addirittura in provincia. Parliamo di borse che, a norma di legge, possono arrivare fino a 3.500 euro annui per borsista: cifre che permetterebbero alla maggior parte degli studenti-lavoratori di smettere di lavorare, qualora ne vincessero una.

Peccato che… una fregatura ci sia. Ed è che la Sapienza, di sua spontanea volontà, ha deciso di metterne a disposizione pochissime e di retribuirle solamente 1.095 euro. Di tutto il suo budget, già martoriato dai tagli subiti dalla riforma Gelmini ad oggi, la Sapienza spende solo lo 0,63% per borse di collaborazione e tutorati, e questi ultimi spesso mancano nelle facoltà umanistiche, proprio quelle dove sarebbero più utili per la loro somiglianza a uno sbocco lavorativo tipico quale è l’insegnamento.

Inoltre, il meccanismo secondo il quale queste vengono assegnate ai singoli studenti è demenziale: si premia il “merito” (un indice numerico ottenuto incrociando la media ponderata e il dato relativo a quanto e se si è fuoricorso), mentre il reddito entra in gioco solo in caso di parità di merito. Ciò non ha senso, poiché implica che uno studente dalla media leggermente più alta o un po’ più in pari con gli esami ma al contempo dal reddito decisamente alto, che può già permettersi di frequentare l’università e pagarsi da vivere senza lavorare, avrebbe accesso prioritario a una borsa di collaborazione rispetto uno studente leggermente meno performante ma con un reddito basso, costretto a lavorare per mantenersi e che dalla borsa di collaborazione trarrebbe benefici ben più consistenti. Non bastasse, sembrerebbe plausibile ritenere che, come numerosi studi hanno già dimostrato avvenire per la scuola secondaria, un reddito basso contribuisca ad abbassare il rendimento nello studio. Chi già lavora, infine, farà più fatica a tenersi in pari con lo studio rispetto a chi non ne ha la necessità: ci sembra quindi ovvio che questo metodo di assegnazione delle borse vada a penalizzare proprio chi di queste borse ha più bisogno.

Anche il criterio secondo cui le borse vengono distribuite tra le diverse facoltà è fallace: si basa unicamente sul numero di immatricolazioni, non tenendo conto che in alcune facoltà il numero di studenti-lavoratori, e dunque la necessità di borse, è decisamente più consistente che in altre.

È ora di dire BASTA a questa situazione insostenibile.

SIAMO STUDENTI, VOGLIAMO STUDIARE, NON FARCI SFRUTTARE!

CHIEDIAMO:

    ● + BORSE DI COLLABORAZIONE E TUTORATI per poter studiare e vivere senza “lavoretti” al nero e sottopagati

    ●  CRITERI PER L’ASSEGNAZIONE BASATI SUL REDDITO affinché le borse diventino davvero uno strumento per risolvere i problemi degli studenti-lavoratori, e non rimangano sottoposte unicamente a una falsa logica del “merito” il cui unico risultato è alimentare le disuguaglianze

    ●  UN’INCHIESTA DA PARTE DELL’UNIVERSITÀ che verifichi la situazione degli studenti-lavoratori all’interno della Sapienza e i cui risultati vengano tenuti in conto al momento della ripartizione delle borse tra le varie facoltà

Ci mobiliteremo tramite azioni dimostrative pubbliche, una raccolta firme da presentare al Rettorato e continuando la nostra inchiesta sulla situazione degli studenti-lavoratori.ù


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