LO STUDENT HOTEL É UNO SCHIAFFO IN FACCIA ALLA NOSTRA GENERAZIONE.

CONTRO PRIVATI E SPECULAZIONE, PRETENDIAMO LA REQUISIZIONE!

Oggi si inaugura a Bologna la residenza privata di The Student Hotel. Una multinazionale che costruisce hotel di lusso in tutta Europa, con proprietà già presenti a Firenze e un cantiere a Torino, le cui stanze sono affittate a costi esorbitanti, al di sopra anche dal prezzo di mercato: Le spese richieste vanno da un minimo di 500 euro per una stanza doppia ai 700 (sempre al minimo) per una stanza singola. 

Il 1° ottobre, giorno della prevista apertura poi rinviata per ritardi nei lavori, si è vista a Bologna una prima contestazione. Una mobilitazione in difesa del diritto allo studio che ha incarnato nello Student Hotel il simbolo del privilegio insito nell’attuale modello di formazione universitaria: l’esclusione forzata di sempre maggiori fasce sociali meno abbienti dall’accesso all’alta formazione attraverso il caro affitto, l’assenza di residenze pubbliche e welfare studentesco, tasse e numeri chiusi. Un processo che sostiene il finanziamento di studentati di lusso e di scuole di eccellenza al servizio delle grandi imprese private, dei gruppi bancari e dei gruppi assicurativi, come – sempre parlando del capoluogo emiliano romagnolo – la celebre Bologna Business School, una vera e propria scuola per l’elité dirigente della nostra società.

Quest’inaugurazione avviene però in una fase storica particolare: la diffusione del Covid-19 ha infatti reso palesi tutte le contraddizioni e i limiti del modello di sviluppo dominante; guardando alle nostre latitudini vediamo l’assenza di volontà politica del Governo Conte di intervenire strutturalmente per risolvere problemi endemici della nostra società, preferendo piccole azioni mirate a disinnescare il malcontento e le possibili tensioni sociali. Tra queste problematiche c’è sicuramente la questione abitativa che, per gli studenti che vivono condizioni lavorative sempre più precarie, significa dover scegliere tra costi altissimi delle stanze o la didattica a distanza, nella totale assenza di finanziamenti pubblici per residenze studentesche e di politiche di calmieraggio dei prezzi degli affitti. 

Siamo quella generazione che vive sulla propria pelle questo tipo di speculazione di cui lo Student Hotel è solo la punta dell’iceberg. Siamo costretti a vivere in città con un costo della vita sempre più alto, dovendo migrare in cerca dell’ateneo migliore nel ranking o per trovare finalmente un’occasione di lavoro. Se le città, però, spesso rappresentano una fuga dalla desolazione in cui sono costrette le provincie, la realtà che troviamo è ben diversa. All’eccellenza dell’ateneo corrisponde una ricerca febbrile della stanza meno costosa per studenti borsisti e non. Con qualifica o senza, ci imbatteremo sempre in lavori precari, sottopagati e senza una prospettiva di miglioramento dignitosa. Molti di noi non riescono a far fronte a questa situazione, e l’assenza di residenze e di edilizia pubblica pesa come un macigno. Siamo la Rent Generation, viviamo destreggiandoci fra un lavoretto e l’altro rischiando sempre di precipitare nei numeri nelle statistiche dei NEET.

Il Covid, e le ricadute economiche e sociali scaturite hanno inasprito la situazione al punto tale che il governo Conte è stato costretto a imporre il blocco degli sfratti fino 31 dicembre.

Una misura tampone che rimette al centro la necessità di affrontare alla radice il problema abitativo con soluzioni strutturali, che rompano immediatamente con il processo di privatizzazione dei diritti sociali che negli ultimi trent’anni è stato portato avanti sia dai governi di centrosinistra che di destra con la complicità dei sindacati concertativi.

Ci riferiamo, ad esempio, alle liberalizzazioni del mercato immobiliare prodotte dalla legge 431 del 1998, che ha permesso l’inizio della concentrazione delle proprietà immobiliari e la svendita del patrimonio pubblico edilizio. Lasciando la regolazione del settore immobiliare alla sola iniziativa privata che si esprimeva nel mercato, si sono così prodotti due effetti opposti ma complementari: la tendenza alla concentrazione delle proprietà immobiliari nelle mani di speculatori finanziari e non, agenzie immobiliari e gruppi di interesse; dall’altro lato, secondo la logica propria della massima ricerca del profitto, il numero degli immobili sfitti aumentava considerevolmente. Questo perché avere un immobile e lasciarlo sfitto può essere meno costoso che investirci, in quanto i profitti verrebbero a realizzarsi dopo diversi anni dall’entrata in funzione dell’attività. Così facendo, lo sfitto ha aiutato a far diminuire l’offerta mentre i cambiamenti che avvenivano nel lavoro e nell’università spingevano sempre più in alto la domanda. Il prezzo è conseguentemente scoppiato, arrivando ad un punto che i giovani e le fasce a basso reddito vengono sempre più ghettizzati e marginalizzati nelle periferie delle città. 

Queste scelte politiche sono state confermate anche durante tutto questo periodo di emergenza, dal lockdown fino ad oggi: senza aver attuato alcun piano strutturale di edilizia pubblica, le misure messe in campo dalle regioni e dai comuni sono andate a favore proprio dei proprietari immobiliari – in modo specifico dei grandi proprietari che influenzano il mercato – utilizzando direttamente fondi pubblici per coprire la morosità degli inquilini, complicatasi a causa dell’emergenza. Così facendo, il mercato è stato “dopato” con soldi pubblici, garantendo i prezzi alti a cui siamo sempre stati abituati e quindi i profitti di chi specula su questi prezzi. 

In questo senso, molto è successo, durante la pandemia, anche a livello universitario. Dagli enti pubblici si è vista una risposta criminale verso l’emergenza, frutto di tagli strutturali alle residenze universitarie (chiuse o svendute per risparmiare sui costi), che ha messo spesso a rischio gli stessi studenti: un esempio viene da ERGO, in Emilia Romagna, che in pieno lockdown ha inviato una mail agli studenti dicendo che non poteva garantire il servizio e che scelta razionale sarebbe stata quella di prendere un treno e tornare a casa; o ancora è il caso di Torino, dove 80 borsisti appena laureati si sono visti sfrattare in piena pandemia dalle residenze EDISU. 

L’assenza di investimenti nell’edilizia pubblica e di sufficienti residenze pubbliche non è a sua volta fatto nuovo, ma è una problematica strutturale e funzionale al processo di elitarizzazione dell’università. Già prima della pandemia infatti si calcolava che solo il 3% della popolazione studentesca italiana usufruisse di uno studentato (la media europea è del 18%) e che solo uno studente su tre avente diritto trovasse posto nello studentato. Con il Covid la situazione è solo peggiorata. Se lo scorso anno erano più di 25 mila gli studenti aventi diritto che hanno dovuto rivolgersi al mercato degli affitti privati perché i posti negli studentati in Italia sono la metà rispetto al numero di studenti che ogni anno ne ha diritto, con la diminuzione dei posti letto per garantire il distanziamento si sono già contati 14 mila esclusi – dato ancora incompleto.

Eppure nessun tipo di pianificazione credibile, coerente ed omogenea sul territorio nazionale per gli investimenti pubblici è stata fatta per sistemare ed ampliare le residenze universitarie, a conferma del fallimento della legge 338/2000, che prevede il finanziamento fino al 50% di progetti finalizzati all’acquisto, ristrutturazione o costruzione di immobili da adibire a residenze universitarie e opera tramite bandi (finora ne sono stati pubblicati quattro) ai quali possono partecipare autonomamente le Regioni, gli enti regionali per il diritto allo Studio e le Università. Al contrario, spesso i bandi della 338 sono stati un incentivo agli investimenti privati che si assumono l’incarico di fornire il servizio, con prezzi spesso al di sopra della media di mercato (per rientrare nei costi e massimizzare i profitti il più velocemente possibile) e soprattutto il sistema del bando ad accesso autonomo ha acuito ancora di più le disuguaglianze territoriali, permettendo solo alle Regioni e alle Università ‘virtuose’ di accedere ai (pochi) fondi pubblici. 

La reazione del mondo universitario, dai singoli atenei fino al governo centrale nel rappresentante del Ministro Manfredi, è stata quella di continuare ostinatamente sulla linea di quel progetto che in Italia a causa dei tagli all’FFO e delle politiche di autonomia d’ateneo ha portato a una polarizzazione tra atenei di serie A e atenei di serie B: misere briciole sono state stanziate nel Dl Rilancio per l’università e sono state indirizzate solo alla modernizzazione delle tecnologie, a partire dalla didattica a distanza, che avrebbe dovuto garantire la didattica, ma che invece non ha fatto altro che accentuare la polarizzazione già esistente. Gli atenei che già si erano consolidati come poli di eccellenza hanno mantenuto le tasse senza sgravi di nessun tipo, aumentando solo di poco la notax area, nonostante l’assenza di servizi durante il lockdown; gli atenei cosiddetti di serie B, grazie anche alla tenacia delle lotte studentesche come nel caso di Catania e Palermo, per paura di una fuga di iscritti hanno sospeso la terza rata, innescando invece le proteste dei rettori delle università più virtuose perché ristabiliva l’accesso all’università un diritto sociale e non un servizio di un’azienda, accessibile a pochi privilegiati.

La situazione che gli studenti borsisti vivono negli studentati caratterizza a pieno la contraddizione di classe che si presenta nell’università: l’elitarizzazione – che negli anni ha subito un’accelerazione, spinta a forza di autonomia degli atenei di concorrenza per accaparrarsi i fondi – ha sempre maggiormente escluso dagli atenei di eccellenza, e più in generale dall’istruzione universitaria, quella fascia di popolazione che non poteva permettersi gli alti costi della formazione. Questi studenti, anche se borsisti, sono stati costretti a trasferirsi sul mercato privato della casa perché negli anni gli studentati sono stati servizi da chiudere per risparmiare sui costi. Questa situazione ha costretto molti a doversi arrangiare con lavoretti precari, ritardando le varie tappe del corso di studio, e finendo per ritrovarsi in una situazione ancora precaria per via dei criteri di merito che sono stati messi come condizione necessaria per il rinnovamento della borsa di studio. Il difficile iter che gli studenti borsisti e non sono costretti a passare è indicativo della forte esclusione di classe presente nel sistema universitario italiano, confermata dai dati sulla carenza di studentati pubblici, sul basso numero di borsisti rispetto agli iscritti totali comparandolo anche con gli altri paesi europei, sul tendenziale aumento delle tasse universitarie che si calcola del 60% negli ultimi dieci anni.

Se le scelte politiche che il governo e il ministro Manfredi hanno portato avanti con la complicità dei vari rettori ci continuano a dimostrare perfettamente che noi studenti e giovani rimasti in gravi difficoltà economica non siamo la priorità e che il diritto allo studio debba essere un ormai solo un privilegio per pochi, l’unica alternativa che abbiamo è continuare ad organizzarci per costruire la forza che ci permette di trasformare alla radice un modello di formazione che continua solo a riprodurre le stesse disuguaglianze sociali presenti nella società. Mentre sta per abbattersi la seconda ondata di covid e tantissimi studenti idonei a ricevere un posto letto nelle residenze pubbliche sono invece esclusi per mancanza di sufficienti strutture, si inaugura uno Student Hotel accessibile solo a pochissimi studenti. Questo studentato di lusso è il privato che specula sui quartieri, che appalta i servizi ad agenzie che sfruttano i lavoratori, che esclude i giovani precari e gli studenti con i suoi prezzi fuori mercato per il quartiere. 

Contro le svendite e le privatizzazioni, rivendichiamo i nostri diritti, pretendiamo la requisizione immediata di tutti gli edifici pubblici svenduti ai privati, degli sfitti privati e la messa a disposizione dello sfitto pubblico. Solo così si può avere una reale regolamentazione del mercato immobiliare e dei prezzi, che ora sono gonfiati dall’enorme numero di immobili sfitti e dal sostegno pubblico ai proprietari. È il momento che il pubblico torni a tutelare gli interessi della collettività e non quelli di profitto dei privati, riacquistando centralità ed intervenendo nell’economia attivando l’equo canone e un tetto massimo per il canone di affitto, garantendo così un fitto tendenzialmente stabile, proporzionato al reddito e alla tipologia di immobile