2022: QUALE FUTURO PER I GIOVANI DENTRO L’UNIONE EUROPEA?

Queste prime settimane del 2022 stanno presentando un bilancio tragico per quanto riguarda l’avanzata sempre più dilagante della pandemia: con oltre due milioni di casi solo in Italia ci ritroviamo in una situazione che le stesse classi dirigenti hanno ancora difficoltà ad affrontare mettendo in campo mezze misure fallimentari, uno scenario nettamente diverso dalla “ripresa” millantata da Ursula Von der Leyen a settembre nel discorso sullo stato dell’UE.

In quell’occasione è stato proposto, nell’ottica di rilancio post crisi, di dedicare il 2022 ai giovani. Un progetto da otto milioni che ha la funzione di affiancare agli obbiettivi dell’agenda europea un’attenzione particolare per la nostra generazione. Un’operazione di rafforzamento ideologico sui punti cardine della ristrutturazione macroregionale, in primis transizione ‘’verde’’ e digitale, tra i giovani.

L’intenzione è chiara: rafforzare un’identità europea dentro la ristrutturazione strategica dell’UE rivolgendosi a una categoria fondamentale come quella dei giovani. Non solo, oltre al rilancio dei piani sovranazionali in ‘’salsa young’’, i progetti per il 2022 si inserirscono nella più ampia “agenda europea giovani 2019-2027” che prevedono ulteriori iniziative quali l’ALMA: un programma strutturato sul “modello Erasmus” questa volta però rivolto a giovani senza lavoro e NEET (Not in Education, Employment, or Training), si tratta di un tentativo dell’UE di vendere una (falsa) prospettiva a migliaia di disoccupati under 30 indirizzata soprattutto a quei paesi bacino di manodopera dequalificata, dunque Est e Sud Europa.

Parliamo di “falsa prospettiva” perchè, oltre la retorica, lo storytelling fatto con ‘’2022: Year of Youth’’ di un’Europa attenta ai giovani, all’ambiente, ai diritti e progressista va a scontrarsi con una realtà, soprattutto nei paesi periferici, di generazioni che vivono condizioni drammatiche di precarietà, tanto lavorativa quanto esistenziale, con una disoccupazione alle soglie del 30%, un aumento esponenziale dei NEET, dei morti sul lavoro under 30 e una crisi di prospettive sempre più profonda che ha scavato nei giovani un senso comune di sconforto e nichilismo.

Da ogni parte in cui guardiamo, il feroce processo di integrazione europea sta mettendo in campo politiche e investimenti antipopolari, che vanno a polarizzare la ricchezza in mano a pochissimi, esclusivamente mirati alla ripresa del profitto per rilanciare la costruzione di un’UE forte e competitiva al livello globale: alla catastrofe ambientale si risponde con la bufala del Green New Deal e dell’energia a fissione nucleare. Sulle condizioni di lavoro parlano delle “possibilità della transizione verde e digitale” quando alla prova dei fatti vediamo solo una pioggia di sgravi, bonus e investimenti per le imprese e l’inasprirsi delle condizioni di precarietà, sfruttamento e lavoro nero in cui affogano gran parte dei giovani lavoratori. Mentre nel mondo della formazione si approfondiscono le dinamiche di polarizzazione tra poli di serie A e serie B, competizioni tra atenei e distinzione di classe, mirando alla creazione di una massa di lavoratori disposta alla flessibilità richiesta dal mercato del lavoro, accanto ad una piccolissima élite di lavoratori altamente specializzata.

Insomma risulta chiaro che i piani di ripresa messi in campo, declinati in Italia da Draghi nel PNRR, non sono, come vorrebbero far passare con questo grande progetto propagandistico, un piano che ci regalerà un futuro attraverso le “occasioni” della transizione digitale e del Green New Deal, ma rappresentano il tentativo di salto qualitativo nel rafforzamento del polo europeo costruito sulle nostre spalle a danno dei popoli dentro e attorno i confini. Stipulando con grandi pacchetti di finanziamenti una vera e propria ipoteca che starà a noi ripagare, andando ad aggravare la situazione di precarietà materiale ed esistenziale, disoccupazione ed emigrazione forzata già presente.

Quali occasioni e quale futuro quindi le classi dirigenti vorrebbero offrire, dedicando il 2022 ai giovani, in un contesto in cui la ripresa europea si gioca sulla pelle delle classi subalterne in una normalità malata e in una crisi ambientale sempre più forte?

Avevamo descritto, nelle prime settimane di diffusione in occidente, il Covid19 come il “Cigno Nero” capace di demarcare un prima e un dopo: come generazione cresciuta dentro la crisi ci hanno raccontato che non c’era alternativa, che le regole che ci venivano imposte erano sacre e inviolabili, quando poi le stesse le abbiamo viste messe da parte quando sono diventati ostacoli per la tenuta dei profitti.

L’Unione Europea ha sfruttato questa nuova crisi per rilanciare se stessa, mettendo in campo misure straordinarie di cui ci sta già chiedendo il conto. Dobbiamo quindi essere coscienti che oltre alle dichiarazioni sull’Year of Youth, non c’è nessuna prospettiva per i giovani all’interno dell’Unione Europea e in un sistema basato sul profitto ad ogni costo: nessuno ci regalerà niente, e da tempo ormai è finita la retorica del “siamo tutti sulla stessa barca”.

Se in questo anno come in quelli futuri vogliamo essere veramente i protagonisti e non utili comparse di un copione scritto a Bruxelles, affinchè davvero il prima sia diverso dal dopo, l’unica possibilità è organizzarsi e lottare per un’alternativa che oltre ad essere possibile è sempre più necessaria. .