Russofobia e sciovinismo europeo

Gli eventi che si stanno susseguendo in queste ore segnano un’esplosione di russofobia senza precedenti recenti in tutto l’Occidente capitalistico, con l’Europa in prima fila. 

Tutto ciò che è russo in ambito culturale, sportivo, artistico, accademico entra nel tritacarne di un nuovo maccartismo, senza incontrare alcuna opposizione nelle “sfere alte” della società, che oramai hanno sdoganato questa forma di razzismo, quasi imponendola. Fortunatamente, di tanto in tanto, vengono fuori voci critiche, che costringono taluni a tornare parzialmente sulle proprie posizioni.

A cominciare è stato lo sport, con l’esclusione della nazionale russa dai playoff per i Mondiali di calcio prima e di tutte le squadre russe di club dalle competizioni FIFA e UEFA poi in seguito è arrivata la Federazione Automobilistica Internazionale, che ha inteso cancellare il Gran Premio di Russia di Formula 1 e, in più, in Inghilterra non potrà gareggiare il pilota russo. Ieri è arrivata l’assurda esclusione degli atleti russi e bielorussi dalle Paralimpiadi, il tutto dietro il paravento dell’irregolare svolgimento delle competizioni a causa del rifiuto da parte di altri di gareggiare contro la Russia.

Fra chi ha manifestato dissenso rispetto a queste decisioni, accanto a qualche atleta russo, spiccano alcuni calciatori provenienti dal mondo islamico, i quali hanno sottolineato il doppio standard utilizzato dagli organismi sportivi nei confronti degli USA e Israele, mai soggetti ad alcuna sanzione, per cui si sono rifiutati di prendere parte ad iniziative/sceneggiate ufficiali contro la guerra in Ucraina.

In Italia ci si è scatenati in ambito culturale. Non poteva non essere in prima fila l’amministrazione comunale PD di Milano, che ha cacciato un Direttore d’Orchestra russo della Scala. Poi abbiamo il caso del festival fotografico Fotografia Europea,  in programma da fine aprile a giugno a Reggio Emilia, che avrebbe dovuto avere la Russia come paese ospite, annullato. A seguire, la Galleria dell’Accademia a Firenze ha annullato il prestito delle opere del Museo Puskin di Mosca e persino il festival del libro per ragazzi di Bologna ha annunciato di voler interrompere la collaborazione con organizzazioni russe, così come ha fatto SIAE, la quale ha annunciato la sospensione del pagamento dei diritti d’autore alle omologhe russe.

Vi è, infine il caso più clamoroso, relativo ad un corso breve su un’opera di Dostoevskij che avrebbe dovuto tenere lo scrittore Paolo Nori presso l’Università di Milano Bicocca: la rettrice prima lo ha annullato, poi, grazie, alle rimostranze esterne è tornata sulla sua decisione a condizione di presentare anche uno scrittore Ucraino, ricevendo, però, al momento in cui scriviamo, il diniego dello scrittore a tenere le lezioni.

Queste esclusioni e annullamenti di eventi a volte sono giustificati col fatto che si tratti di dover aver avere a che fare con enti russi oppure con singoli personaggi che non hanno preso le distanze dalla guerra, altre volte riguardano pure chi ha preso pubblicamente le distanze dalla guerra.

La russofobia nel vecchio Continente, in realtà, ha radici che risalgono all’800, ovvero a dopo il fallimento della campagna di Russia da parte di Napoleone Bonaparte. In quell’occasione, le classi dominanti principalmente di Inghilterra e Francia, impressionate dai successi militari zaristi, diedero vita ad ogni forma di ostracismo nei confronti della Russia e di tutto ciò che fosse russo, che colmò con l’invenzione di una serie di stereotipi anti-russi e di un fantomatico testamento di Pietro Il Grande, nel quale si paventava l’intenzione, da parte dell’impero dei Romanov, di espandersi in tutta Europa. 

Tutto sommato non ci discostiamo di molto rispetto alle roboanti dichiarazioni guerrafondaie di questi giorni rilasciate  ai massimi livelli delle cancellerie europee, in cui si paventa che la Federazione Russa voglia tenere l’Europa in stato di guerra per decenni, al fine di espandersi al suo interno. 

Ed in fondo, il dato più impressionante è proprio che si sta cercando di implementare i prossimi passaggi di costruzione del polo imperialista europeo, nel senso di un suo rafforzamento da un punto di vista militare, avendo come fondamento ideologico la russofobia, in quanto, appunto, per parafrasare le classi dirigenti europee, ”l’espansionismo russo ci accompagnerà per i prossimi decenni, quindi dobbiamo armarci contro di esso”. Una retorica sempre più diffusa che lascia spazio e legittima, con l’aiuto di una narrazione unilaterale del conflitto,a episodi di violenza nei confronti della comunità e di tutto ciò che viene associato alla Russia nei territori occidentali.

Testimonianza ulteriore di questa direzione russofoba  è il persistente appoggio e consegna di armamenti, da parte dei paesi europei, nei confronti dei gruppi paramilitari dell’estrema destra ucraina, inquadrati nell’esercito di Kiev dopo il colpo di stato del 2014.

Tali gruppi, per lo più si rifanno all’ideologia di Stepan Bandera, fondatore prima dell’anti-sovietica Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e, in seguito, dell’Esercito Insurrezionale Ucraino, che combatté come collaborazionista del regime nazista contro l’URSS durante l’Operazione Barbarossa. 

Ebbene, tale ideologia paventa una superiorità della razza ucraina (in quanto ariana) rispetto a quella russa, la stessa che vediamo, di fatto, in opera da parte dei nostri politici e dei nostri media quando fanno risalire l’inizio del conflitto ucraino all’invasione russa nei confronti dell’Ucraina occidentale di una settimana fa circa, proclamando che si tratta del “primo conflitto portato nel cuore d’Europa” dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. 

Gli assalti delle bande naziste ai danni delle popolazioni, per lo più russe, del Donbass che durano da 8 anni, evidentemente, non riguardano l’Europa e una popolazione degna di essere posta sullo stesso piano di quelle europee.

Ecco, il nuovo nazionalismo europeo che ha come sua punta di lancia i suprematisti ucraini e come caratteristiche fondative la russofobia e l’anticomunismo sono il segnale che siamo di fronte ad un imperialismo putrido e guerrafondaio da abbattere radicalmente.

Precisiamo che con ciò non vogliamo negare l’esistenza di un’identità ucraina, come invece fa, da sempre, il nazionalismo grande-russo e, da ultimo, Putin, il quale, in maniera farneticante, addebita a Lenin la nascita e lo sviluppo del movimento nazionale ucraino, anche nella sua versione aggressiva e razzista, in quanto gli avrebbe regalato artificiosamente uno stato. Peccato, però, i banderisti si riversarono contro il bolscevichi, mentre lo stato ucraino era una Repubblica Socialista Sovietica. Il discorso, quindi, si rivela totalmente contraddittorio

La lingua, l’identità ed il movimento nazionale ucraino pre-esistono alla Rivoluzione d’Ottobre, la quale gli diede legittimazione ed uno stato. 

L’operazione di identificare il nemico per l’imperialismo occidentale in una cultura tutta, che legittima sempre di più un escalation di violenza col pericolo di arrivare a veri e propri pogrom, ci mette davanti a un rafforzamento non solo militare ma a una vera e propria giustificazione ideologica dell’espansionismo europeo.

Combattere queste derive irrazionali e il sempre meno strisciante sciovinismo europeo che le accompagnano sono un ulteriore terreno di lotta contro una guerra che é stata cercata e voluta in primis dagli imperialismi occidentali. Noi non ci arruoliamo!