TAV, GUERRA, E RICERCA: RILANCIARE LA LOTTA ANTIMPERIALISTA E ANTIMILITARISTA NEI LUOGHI DELLA FORMAZIONE

Pubblichiamo il nostro contributo presente nell’opuscolo curato dal nodo Torino e cintura del movimento No Tav: “IL TAV E I CORRIDOI DI MOBILITA’ MILITARE EUROPEA” di cui riportiamo qui sotto l’indice completo:

1- “Chi non si muove non sente le sue catene” – Nicoletta Dosio
2 – “Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea” – Assemblea No Tav Torino e cintura
3 – “La persecuzione contro il movimento No Tav ha la Nato come mandante” – Sergio Cararo
4 – “Tav, guerra e ricerca: rilanciare la lotta antimperialista e antimilitarista nei luoghi di formazione” – Cambiare Rotta
5 – “Il MUOS e la guerra nel Mediterraneo” – No Muos
6 – “Mediterraneo allargato: l’intervento militare italiano all’estero e le aziende piemontesi dell’industria bellica” – Assemblea antimilitarista torinese
7 – “Le reti di trasporto trans-europee e la guerra” – Centro studi Sereno Regis
8- “Resistere, resistere e ancora resistere per poter far si che i giovani possano ancora esistere” – Alberto Perino

Tav, guerra e ricerca: rilanciare la lotta antimperialista e antimilitarista nei luoghi di formazione

Martedì 13 luglio 2021 si è tenuta al CSOA Gabrio l’iniziativa “Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea”, a cura dell’Assemblea No Tav Torino e Cintura. I moltissimi spunti, delle riflessioni e dei vari interventi tenuti da giornalisti ed esperti di relazioni internazionali, militanti storici del Movimento No Tav e da movimenti e lotte territoriali antimilitariste, aveva l’intenzione di approfondire e indagare l’aspetto strategico e militare della grande opera della TAV Torino-Lione.
L’opera, infatti, rientra tra i corridoi TEN-T (Reti di Trasporto Trans-Europeo), e in particolare fa parte del corridoio V, che dovrebbe collegare con una serie di infrastrutture la capitale ucraina a quella portoghese. Le reti TEN-T fanno parte di uno dei progetti di mobilità militare più ambiziosi lanciati nell’ambito della difesa europea, un programma che vede la collaborazione di tutti 25 i paesi membri della Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO).

In un momento storico segnato da una competizione sempre più aspra tra blocchi geopolitici internazionali, il polo imperialista europeo cerca di tenere il passo nella competizione anche sul piano militare, avanzando e costituendo strumenti e progetti di difesa comune e di maggiore collaborazione tra i paesi membri; tra questi il progetto della mobilità militare trans-europea e delle reti TENT-T ricopre un ruolo fondamentale. La pandemia in questo senso ha dato una forte accelerazione, infatti, proprio il parlamento europeo sottolinea che le risorse del fondo Next Generation EU rappresentano un’opportunità unica per garantire lo sviluppo delle reti centrali TEN-T entro il 2030.

Ecco spiegata l’importanza strategica per l’Unione Europea di una grande opera come l’Alta Velocità Torino-Lione, un’opera che oltre a comportare un impatto ambientale devastante per il territorio e ad essere un enorme spreco di risorse e di finanziamenti pubblici, rappresenta un tassello fondamentale nella costituzione della mobilità militare trans-europea. Infatti, proprio attraverso la lente dell’importanza che la TAV ricopre sul piano militare e della strategicità che ricopre a livello nazionale ed europeo, possiamo leggere l’ingente militarizzazione a cui è sottoposto il territorio della Val di Susa che è stata formalmente dichiarata dal governo italiano area di interesse strategico a livello nazionale, la presenza dei militari e di centinaia di truppe di occupazione all’interno del cantiere e tra i paesi, le strade e i sentieri della Val Susa, oltre all’insensata repressione poliziesca e giudiziaria che si abbatte da trent’anni contro i militanti del movimento No Tav.
All’interno di questa iniziativa, come Cambiare Rotta abbiamo portato un contributo che approfondisse il ruolo che ha il mondo della formazione, dallo specifico dell’Università di Torino collusa con il sistema Tav fino al generale delle università italiane, nello sviluppo della ricerca militare.

Nell’ultimo anno, insieme ad altri collettivi No Tav presenti in Università, abbiamo portato avanti un percorso che denunciasse e si opponesse agli accordi di ricerca che legano l’Università di Torino a TELT, la società che ha in appalto il progetto dell’Alta Velocità Torino-Lione. TELT finanzia alla nostra Università delle borse di ricerca che sono volte a dimostrare, contro ogni evidenza, quanto la TAV Torino-Lione sia in realtà un progetto ecosostenibile. L’Università di Torino, quindi, garantisce una facciata green e ambientalista ad un progetto che, com’è confermato da diversi studi tecnici, ha in realtà un impatto ambientale altissimo per il territorio e la salute della popolazione della Val di Susa.

I temi che, come Studenti No Tav, abbiamo portato avanti sono stati ovviamente la denuncia di questi accordi siglati dalla nostra università, nonché più in generale gli effetti che anni di privatizzazione della ricerca universitaria hanno prodotto.
Un elemento poco indagato e che l’iniziativa ha posto molto ben in luce è la portata del progetto TAV aldilà della sua insostenibilità sociale e ambientale: il TAV non può essere ridotta solo a un’opera “inutile e dannosa”, ma ha un strategico sul piano militare di un soggetto geopolitici come quello dell’Unione Europea che nella competizione con altri soggetti geopolitici deve rafforzarsi anche in questo settore.

Se ciò è vero, se il TAV Torino-Lione ha un’utilità sul piano della mobilità militare e diventa un tassello per rafforzare la costruzione della difesa comune europea, allora è chiaro che la complicità di Unito nel sistema TAV ha una portata ancora più grave, perché significa che Unito collabora attivamente e mette a disposizione lo sforzo intellettuale dei propri ricercatori per giustificare un progetto utile alla mobilità militare all’interno dell’UE.

Certo questa non sarebbe la prima volta che Unito mette la propria ricerca al servizio di scopi poco nobili. Ne sono un esempio gli accordi con il Technion di Haifa, il Politecnico israeliano che collabora con diverse aziende che producono le armi e le tecnologie militari come droni, bulldozer impiegati direttamente nell’occupazioni israeliane in Palestina. Questo destino in realtà non è riservato solo ad Unito: almeno 135 università italiane ( tra cui lo stesso politecnico di Torino e il prestigioso politecnico di Milano) hanno siglato accordi con Israele e lo stato sionista rappresenta un eccellente collaboratore all’interno di quello che è stato il programma quadro Horizon 2020 dell’Unione Euorpea in materia di ricerca e sviluppo.

Scienza e Guerra

La carenza strutturale di finanziamenti pubblici alle università italiane, e il processo di privatizzazione del mondo della formazione che dagli anni ‘90 ad oggi è andato sempre più ad acutizzarsi, producono molto spesso che la ricerca universitaria e scientifica venga finanziata da attori economici privati, con il risultato che questa è sempre più sottoposta e strumentalizzata a perseguire gli interessi economici dei privati che vi investono. La privatizzazione del sapere e della ricerca universitaria fa sì che non si possa affermare veramente che questa sia neutrale, soprattutto quando persegue obbiettivi che sono volti a portare avanti gli interessi del capitale, o peggio ancora, quando è finalizzata allo studio delle tecnologie e della ricerca legata all’industria bellica.

Come ha sottolineato lucidamente il Prof. Angelo Baracca negli incontri con gli studenti del Corso di Laurea in Scienze della Pace, da sempre la scienza ha trovato impiego in campo militare: basta pensare al progetto Manhattan alla fine della seconda guerra mondiale, alle scuole estive promosse dalla NATO sulla fisica delle particelle elementari o ancora ai fisici impiegati nella commissione Jason durante la Guerra in Vientnam. Se la non neutralità della scienza è una questione ormai evidente, allo stesso tempo però è chiaro che, in un momento di forte crisi economica in cui la conoscenza e la ricerca possono rappresentare un vantaggio competitivo , si assiste a un cambio di passo. Ciò avviene sia in termini quantitativi (se si guarda ad es. qual è l’entità dell’ impiego degli scienziati per la guerra) sia qualitativi (cioè quanto la scienza è al servizio di questo Modo di Produzione Capitalistico).

In una dinamica di competizione e scontro tra potenze imperialiste è evidente che l’escalation militare e l’aggressione (non solo economica) non sono che il culmine di questa competizione.

È in questo contesto che va letta l’ attenzione che l’UE riserva affinché la ricerca sia indirizzata in una determinata direzione: da un lato infatti rimane la necessità di collocare l’Italia in uno scacchiere atlantista (le basi militari Nato nella nostra penisola sono lì a confermarlo) in contrapposizione a potenze come la Cina e la Russia; dall’altro lato però l’unione europea si deve attrezzare per rendersi sempre più autonoma come potenza imperialista, ristrutturandosi.

L’uscita della Gran Bretagna dal progetto europeo, con la Brexit, segna per gli stati membri un’avanzata su questo versante. Fatto fuori l’elemento che più ostacolava l’intento degli stati membri di darsi un impianto militare comunitario, si è registrata una vera e propria impennata da parte delle istituzioni centrali dell’UE nel portare avanti questo obbiettivo. Nel 2016, Junker istituisce l’European Defence Fund, un fondo volto a finanziare la ricerca e a sostenere progetti industriali militari. D’altra parte la pandemia ha dato un’ulteriore accelerazione a questo processo: basti pensare a come il Next Generation Eu getti le basi per la riorganizzazione produttiva dell’UE implementando gli investimenti in green economy, nella digitalizzazione, nel settore hight tech, per non parlare della ristrutturazione delle filiere produttive volte a sopprimere le cosiddette industrie zombie in favore di veri e propri campioni europei, investendo ovviamente in formazione (e in spesa militare).

A questo proposito le commissioni Difesa di camera e Senato già ad aprile avevano stabilito che una parte dei fondi in arrivo da Bruxelles fosse dedicato anche al settore militare per «la produzione di nuovi mezzi e sistemi d’arma green volti a incrementare, vista la strategicità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attivazione a programmi specifici promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie». Già allora si sollecitava il «dialogo con la filiera industriale e i centri di ricerca anche nell’ottica di creare distretti militari intelligenti». Un vero e proprio greenwashing dell’industria delle armi.

D’altra parte già nel biennio 2019-2020 l’Ue ha stanziato 500 milioni di ero nel settore della costruzione di armi e nello sviluppo della relativa ricerca, 100 dei quali destinati ai progetti Eurodrone e Euromale al fine di sviluppare nuovi mezzi destinati allo spionaggio o all’attacco. Tra le industrie che hanno potuto copartecipare al progetto troviamo, ovviamente Airbus, Dassault e Leonardo Finmeccanica, leader nel settore militare.

Infine è interessante notare come, nella riorganizzazione della formazione universitaria rientrino anche le stesse Scuole di Applicazione dell’Esercito e delle Accademie militari, come avvenuto negli scorsi mesi fra Torino e Modena: al tavolo di confronto a cui hanno presenziato le principali figure dell’ateneo, della regione e il sottosegretario di Stato alla Difesa. Lo scopo e gli obiettivi erano chiari: finaziarela formazione militare e puntare a creare modelli di eccellenza anche in questo campo, rendendo più efficienti queste scuole in base ai nuovi ruoli che vengono richiesti alle figure militari, specie in paesi in cui le contraddizioni sociali si fanno più acute. Incontri come questi ci parlano quindi di una progressiva militarizzazione della società oltre che della stessa gestione della pandemia affidata dall’oggi al domani non a medici esperti ma direttamente al Generale di Corpo d’Armata come Figliuolo. Che le forze dell’ordine non facciano gli interessi di una collettività ne abbiamo una prova evidente in Valle di Susa dove per portare avanti un’ opera criminosa come il TAV migliaia di agenti rendono le autostrade loro personali corsie d’emergenza chiudendole ai civili, arrivando lacrimogeni ad altezza uomo e subordinando alla questura le decisioni delle stesse istituzioni locali che a gran voce rigettano l’opera.

Come Organizzazione Giovanile Comunista si rende quindi necessario costruire dentro e fuori le università una forza antimilitarista e antimperialista capace di opporsi al progetto militare e imperialista europeo che proprio nelle scuole e nelle università viene portato avanti sottotraccia.

Significa anche svelare il volto aggressivo dell’Unione Europea che da anni viene dipinta come unione di popoli e garante di pace: le aggressioni in Libia, l’appoggio incondizionato allo Stato Sionista di Israele, la complicità con i fascisti ucraini dimostrano con evidenza che intorno ai confini europei la guerra non si è mai interrotta. Allo stesso tempo le riforme lacrime e sangue imposte ai paesi del Sud Europa ci parlano di un altro attacco, quello allo stato sociale, al lavoro all’istruzione che invece conosciamo più da vicino e di cui, con la pandemia, paghiamo ancora più duramente gli effetti.

La lotta No Tav assume quindi ancora più di prima una centralità rinnovata come lotta contro un intero modello di sviluppo che devasta, uccide e depreda ma anche perché significa opporsi alla costruzione di progetti di mobilità militare all’interno di territori europei utili al polo imperialista europeo per competere a livello militare.