SCUOLA E UNIVERSITÀ DEL PROFITTO: COMBATTIAMO CONTRO UN FUTURO DI GUERRA, PRECARIETÀ E SFRUTTAMENTO.

Mentre i venti di guerra diventano realtà, prosegue silenziosamente, cercando di passare inosservato, il processo di ristrutturazione interna al nostro Paese, con leggi, riforme e decreti. Infatti, di fronte ad un sistema in crisi e ad un aumento delle spese militari, non può che stringersi la cinghia sulle fasce popolari, aumentando sfruttamento e precarietà. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il nuovo Decreto scuola approvato da pochi giorni in CdM, che conferma molte delle tendenze già avviate dalle riforme degli scorsi anni rispetto a scuola e università. Tra le altre cose, ad essere stravolta è la procedura per il reclutamento dei docenti di scuola secondaria. Particolare attenzione suscita l’introduzione di un percorso abilitante di 60 CFU, sostitutivo dell’attuale sistema a 24 CFU, che aumenta tempi e costi del percorso di abilitazione.

La modifica della procedura di reclutamento si inserisce in una generale riforma di scuola, università, ricerca e pubblica amministrazione, le cui linee guida sono già stabilite nel PNRR, su direttive dell’Unione Europea. Il modello di formazione e ricerca a cui queste condurranno è un modello di privatizzazione e aziendalizzazione, di investimento concentrato sui settori chiave per il mercato (ad esempio la digitalizzazione connessa all’industria 4.0) e sui poli di massima eccellenza (quelli più legati ai nodi strategici delle catene del valore), volto ad adeguare formazione e ricerca alla richiesta occupazionale delle nuove filiere produttive europee.

Il mercato del lavoro in cui sono immessi i giovani è estremamente flessibile e fortemente polarizzato: alcuni settori innovativi, strategici per il rilancio economico dell’UE, accolgono un certo numero di lavoratori altamente qualificati e ben retribuiti, ma per arrivare a queste posizioni si deve affrontare una strenua competizione; il resto del mercato del lavoro è costituito da posizioni altamente precarie, con contratti di breve durata o assenti, sottopagate, in cui inciampano poi anche tutti i laureati e dottori dei vari settori non strategici. Due i principali elementi fondanti di questo processo di adeguamento:

  • forte aziendalizzazione di scuola e università, con allineamento dei curricula scolastici e della ricerca alle esigenze delle imprese private, disparità nell’attribuzione dei finanziamenti tra atenei e corsi d’élite, spesso STEM o a numero chiuso, ed atenei e corsi “di serie B”;
  • preparazione ideologica alla flessibilità e allo sfruttamento, giunta all’apice con l’introduzione dell’Alternanza Scuola Lavoro (che solo quest’anno ha ucciso due studenti), ma già in precedenza attuata plasmando la futura classe lavoratrice con tirocini non retribuiti e stage.

La riforma del reclutamento dei docenti si colloca proprio in questo quadro. Oltre ad imporre il percorso a 60 CFU, con focus sull’acquisizione di competenze linguistiche e digitali, il decreto prevede che ampia parte di essi si acquisisca tramite tirocinio. Tutti coloro che volessero abilitarsi all’insegnamento dovrebbero cioè prestare servizio gratuito per centinaia di ore, e potrebbero essere così sfruttati come esercito di lavoratori di riserva pronti a “risolvere” il problema della carenza di personale e della precarietà.

Il decreto inoltre istituisce una Scuola di Alta Formazione, affidata ad un Comitato d’indirizzo di cui faranno parte soggetti di nomina politica come i Presidenti di Indire e di Invalsi, che curerà la formazione di tutti i docenti in ruolo attraverso un sistema di continuo aggiornamento e controllo qualità, obbligatorio per i neo-assunti e volontario per gli altri (ma premiato con incentivi salariali per il 40% di chi vi si sottopone, cioè imposto con ricatto salariale). Agli oneri di questo sistema, che assoggetta l’attività degli insegnanti conformandola ad un modello pedagogico-didattico funzionale agli indirizzi politici dominanti, si provvederà inoltre “mediante razionalizzazione dell’organico di diritto”, cioè tagliando migliaia di cattedre l’anno.

Le stesse conclusioni negative si possono trarre anche rispetto alla nuova procedura di accesso a tutti i bandi di concorso pubblici, che rende sempre più difficile ottenere un punteggio alto in classifica: i criteri di attribuzione dei punteggi valorizzano un alto livello di specializzazione, escludendo automaticamente chi non può permettersi di continuare a studiare fino ad ottenere dottorati o master.

In un sistema sociale che riduce costantemente le possibilità di emancipazione per le giovani generazioni, determinando in Italia lo sgradito primato europeo per presenza di NEET (Not in Employment, Education or Training), il pubblico impiego e in particolare la scuola hanno svolto finora almeno la funzione sociale di offrire una prospettiva lavorativa ad una fetta di giovani e neolaureati. Col passare del tempo si restringono invece le garanzie di stabilità materiale, anche a causa di manovre dai nomi incoraggianti come il Next Generation Eu, che si rivelano riproposizioni più spietate delle stesse ricette neoliberiste che ci hanno condotti dove siamo ora.

Oggi più che mai è necessario costruire una reale alternativa, che sappia individuare le contraddizioni prodotte da questo sistema in crisi, e sappia connettere le lotte, dal sindacalismo di base ai movimenti e le organizzazioni. Quest’anno è stato segnato dalle mobilitazioni studentesche, che hanno allargato a tutto il Paese la protesta contro un mondo della formazione e una società ormai incapaci di assicurare il diritto allo studio, al lavoro e al futuro. Mobilitazioni sindacali come quella del 22 aprile hanno visto numerosi studenti in piazza accanto agli operai, rimettendo al centro un’ipotesi di lotta comune contro un sistema di sfruttamento e disuguaglianza che condanna all’assenza di prospettive, alla recessione economica e alla regressione sociale. Questo anno politico, di fronte al coinvolgimento in una guerra voluta e preparata dalle nostre classi dominanti, e ad un sistema economico e sociale che non può più reggersi su falsi miti, deve segnare per tutti i settori l’inizio di un nuovo percorso di lotta e organizzazione. Per questo aderiamo anche questo 6 maggio allo sciopero e alla mobilitazione indetti dall’Unione Sindacale di Base dei settori della scuola, al fianco degli studenti e dei lavoratori.