Su la testa! Contro schiavitù e precarietà organizziamo la nostra rabbia

Su la testa! Contro schiavitù e precarietà organizziamo la nostra rabbia: 6 agosto manifestazione nazionale a Forte dei Marmi.

Il 6 agosto saremo con tutta la rabbia che abbiamo al fianco di Slang USB per la manifestazione nazionale a Forte dei Marmi (LU) del 6 agosto contro lo sfruttamento stagionale, la precarietà e il lavoro nero, in nome di quelle tutele sociali basilari che sempre più vengono “tagliate” in nome del profitto e del guadagno.


Ci saremo perché direttamente coinvolti in quanto parte di una generazione che è nata e vissuta nella dimensione della crisi: economica, sociale, ecologica, culturale. La generazione “working poor”, del lavoro povero e deregolamentato, atomizzata e privata di una qualunque prospettiva esistenziale. Una generazione “precarizzata” tanto nel lavoro quanto, di riflesso, nei rapporti sociali e ormai intrappolata in una specie di limbo.

Una “nuova” (l’ennesima!) crisi però si staglia all’orizzonte. Non una crisi come le altre, ma che le altre ingloba, mostrando nitidamente il suo carattere sistemico e strutturale. Investe buona parte delle economie dei paesi occidentali e delle loro classi dirigenti, assumendo nei rapporti inter-imperialistici i contorni di una guerra guerreggiata mentre si sfiora l’orlo dell’infarto ecologico del pianeta, causato da un modo di produzione semplicemente insostenibile. Come il passato più e meno recente ci insegna, il comando capitalistico, e per ciò che ci riguarda quello incarnato dall’Unione Europea, sa rispondere alle crisi scaricando i costi della ristrutturazione sulle classi subalterne ed in particolare sulla loro componente giovanile o, nei casi più tragici, con la guerra.

Dati alla mano infatti, oggi in Italia più di una persona su dieci vive in condizione di povertà anche se lavora, condizione che tra i giovani si inasprisce arrivando ad un lavoratore su sei, cui poi vanno aggiunti circa 2 milioni e mezzo di disoccupati (8,4%) e 1 milione e mezzo di persone che hanno ormai smesso di cercare un lavoro.

Vale la pena osservare il contesto in cui ci troviamo inserendolo in un lasso di tempo più ampio, compreso almeno nell’ultimo ventennio, per individuare chiaramente la matrice politica ed ideologica che ci costringe in una simile condizione. Così, ad esempio, scopriamo da uno studio di economia politica e sociale pubblicato nel 2012 che il fenomeno del lavoro povero nel nostro paese ha origini lontane, rintracciabili all’indomani dell’entrata in vigore della legge Biagi, e che esso è estremamente legato alla deregolamentazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro. Secondo l’autore Vincenzo Carrieri, già nel periodo 2004-2008, e cioè prima della crisi dei mutui e dei debiti sovrani, il lavoro povero si attestava ben oltre i 12 punti percentuali, coinvolgendo soprattutto donne, migranti e giovani generazioni. Nel 2021 è addirittura una ricostruzione statistica del ministero del Lavoro a delineare la consistenza del fenomeno all’11,8 %, salendo nel caso del lavoro part time al 22%, che individua le cause dell’aumento della povertà lavorativa degli ultimi 15 anni proprio nella aumentata instabilità delle carriere e nell’esplosione del tempo parziale “involontario”, determinate dalla debolezza della struttura economica italiana ma anche da cambiamenti strutturali, come un aumento del peso dei servizi. Il tutto all’interno di una cornice di stagnazione trentennale dei salari inversamente proporzionale all’aumento del costo della vita.


Una deregolamentazione e flessibilizzazione, si è detto, in netta correlazione con gli alti livelli di disoccupazione che oscillano da un minimo del 6,9% del 2007 a un massimo di 12,6% del 2013, per poi assestarsi tra il 9,6 e il 10% nel periodo pre-pandemico e pandemico.

In altre parole le cause di questa condizione vanno rintracciate tutte nella catena di comando che, da Bruxelles ai vari governi nazionali (senza sostanziali differenze fra destra e finta sinistra), ha implementato politiche economiche neoliberiste e di austerità finanziaria, determinando, inoltre, una nuova divisione continentale del lavoro che si traduce in una grossa frattura fra economie guida dell’Unione e quelle periferiche, a loro volta differentemente collocate nelle catene globali del valore.

Da questo punto di vista, quindi, risulta obsoleta qualsiasi velleità di gestione “progressista” della crisi nella più generale ristrutturazione del sistema. Ci appare chiara la funzione che hanno assunto i partiti europeisti che da destra e da sinistra hanno guidato questo processo, così come il ruolo giocato dai vari governi di unità nazionale, da Amato a Monti, fino a quello dei “migliori”, sempre coadiuvati dai tre sindacati confederali.

Ma non basta il dato strutturale delle condizioni materiali a rendere drammatici gli scenari, va tenuto ben presente anche il segno sovrastrutturale ed ideologico che ci incatena a questa condizione. Quello che mette in campo a tamburo battente il mantra dei giovani “mammoni e scansafatiche”, che non trovano lavoro perché poco inclini alla gavetta o adagiati sugli allori dell’assistenzialismo da fame del reddito di cittadinanza. Una propaganda indecorosa, che fa cadere sulle spalle dei giovani (e meno giovani) lavoratori le cause della crisi strutturale che stiamo vivendo e alimenta le logiche di dominio di classe fondate su quello che Marx chiamava l’esercito industriale di riserva. Ma soprattutto, questo tipo di narrazione tiene ben lontana qualsiasi prospettiva di presa di coscienza politica dei subalterni.

Ci viene chiesto di accettare a testa bassa come unica prospettiva quella dello sfruttamento e della precarietà, in un mondo del lavoro che continua a mietere feriti e vittime. Siamo già arrivati a 500 in questa prima metà del 2022, l’ultimo si chiamava Filippo, morto mentre lavorava in un cantiere forestale a Santu Lussurgiu dove era impegnato al taglio del sughero. Un ragazzo di 18 anni che come tanti suoi coetanei nei momenti di interruzione didattica cercava occupazioni precarie e stagionali. Sempre pochi giorni fa all’interno della Piaggio di Pontedera è rimasta ferita una giovane lavoratrice precaria- tanto per ricordare che le condizioni di precarietà e di insicurezza attanagliano anche i settori di punta del capitalismo nostrano- proprio in quella Toscana “progressista” dove perse la vita lo scorso anno Luana d’Orazio, operaia di ventitre anni uccisa per accrescere il profitto a costo delle misure di sicurezza.

Come organizzazione giovanile comunista non possiamo far altro, allora, che essere al fianco di chi, come i lavoratori stagionali di SLANG-USB, si organizza dentro e fuori i posti di lavoro, per inceppare nella loro essenza materiale gli ingranaggi di un modo di produzione che ci impoverisce e ci ammazza di lavoro; che ci impone subalternità al “volere” dei mercati e delle logiche di competizione internazionale; che, facendo leva sulla scusa della instabilità e delle carenze di una parte della classe dirigente occidentale, inserisce il pilota automatico, volto alla riproposizione di strategie di politica economica disastrose per le classi subalterne e per l’intera biosfera.

Ai nostri posti ci troverete, pronti e determinati a spezzare la catena di comando dell’Unione Europea.