DALLA SICCITA’ AI NUBIFRAGI: DISASTRI DIVERSI, UN UNICO RESPONSABILE
Mentre tra fine giugno ed inizio luglio si parlava di razionamento dell’acqua, oggi gli intensi nubifragi spazzano via le strade di città e paesi in Campania, Sardegna, Sicilia e nel Lazio, ma già si prevede che il maltempo investirà anche ampie porzioni del Nord Italia. Come nel caso dell’anno scorso non si parla di semplici acquazzoni estivi: le strade diventano torrenti, le reti fognarie si intasano e saltano i tombini, si susseguono i blackout e, nel caso di Olbia, si sono bloccate le attività dell’aeroporto. Oltre alle piogge monsoniche, scariche di grandine grossa hanno investito diverse località, dall’Irpinia al Nuorese.
Lo scontro tra l’anticiclone africano che ha determinato la siccità diffusa fino a questo momento e le correnti nord-orientali sopraggiunte negli ultimi giorni sta dando luogo ad un alternarsi di anomalie metereologiche che sono solo uno specchio locale di quelle climatiche diffuse su più larga scala.
Infatti il riscaldamento globale non si limita a determinare un aumento delle temperature (con il caldo che arroventa le città e spolpa le campagne), ma provoca in generale un’estremizzazione dei fenomeni atmosferici (le zone secche si inaridiscono, quelle umide diventano ancora più piovose). Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che l’equilibrio climatico è frutto dell’interazione costante tra il sistema dell’atmosfera e quello degli oceani tramite la radiazione e l’evaporazione, dando vita a venti e correnti. Proprio oceani e mari, infatti, sono responsabili dell’assorbimento ai più del 90% del riscaldamento globale, fungendo da accumulatore di calore.
Non c’è da meravigliarsi quindi se il riscaldamento dell’acqua diventa percepibile anche dai bagnanti durante l’estate, mentre su scala macroscopica si assiste a fenomeni ben più gravi: il bacino Mediterraneo, nel quale siamo immersi, si riscalda attualmente il 20% più velocemente del resto del globo.
Recentemente abbiamo osservato che neanche i fiumi sono esenti da questa sorte, ed il loro progressivo prosciugarsi (in alcune regioni) e riscaldarsi ha determinato non pochi problemi nell’ambito di diverse tecniche di generazione energetica.
Assistiamo a conseguenze che si ripercuotono con sempre maggior forza non solo sui fragili equilibri degli ecosistemi, ma sull’ancora più precaria organizzazione della vita umana, dalle campagne alle città. Queste, in particolare, sono diventate con il progredire del consumo selvaggio di suolo delle vere e proprie trappole, appena adeguate alle condizioni di normale amministrazione e quindi assolutamente impreparate ad assorbire il contraccolpo di questi eventi che purtroppo saranno sempre più violenti ma sempre meno straordinari.
Il rapporto sul consumo di suolo pubblicato recentemente dall’ISPRA evidenzia che “I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e, dall’altro, la densificazione di aree urbane, che causa la perdita di superfici naturali all’interno delle nostre città, superfici preziose per assicurare l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto.” Insomma, la natura stessa che potrebbe aiutare a mitigare le conseguenze dei cambiamenti climatici viene devastata nel costante processo di adeguamento delle città alle esigenze del mercato. Viene infatti rilevato, nello stesso rapporto “un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali, unitamente alla criticità delle aree nell’intorno del sistema infrastrutturale, più frammentate e oggetto di interventi di artificializzazione a causa della loro maggiore
accessibilità e anche per la crescente pressione dovuta alla richiesta di spazi sempre più ampi per la logistica.”
Il pensiero va allora alle cosiddette “Green Logistic Valleys”, poli logistici e tecnologici che sorgerebbero nelle città industriali e commerciali più interessate dai piani di speculazione del capitale multinazionale (con tanto di regime fiscale agevolato, come è stato proposto per Genova, nell’area coinvolta dal crollo del Ponte Morandi). Delle intenzioni, queste, che di “verde” hanno solo il nome, e che sono piuttosto figlie dell’accelerazione del processo di integrazione del Nord Italia nella rete logistica europea.
Proprio a seguito dell’allentamento delle restrizioni al commercio dopo la fase iniziale della pandemia e del rinnovato slancio che questa ha donato al settore delle spedizioni, si prende atto che
“323 ettari nel 2021 sono stati destinati alla realizzazione di nuovi poli logistici,
prevalentemente nel Nord-Est (105 ettari) e nel Nord-Ovest (89 ettari).”
Agire ciecamente nell’interesse di pochi a scapito di tutti gli altri è stato quello che finora
hanno fatto i governi che si sono succeduti in Italia: sia nel sostenere sotto l’egida europea
che il sistema capitalistico possa essere riformabile in senso sostenibile per l’ambiente, sia
nella non volontà di arginare le conseguenze che i cambiamenti climatici hanno sui
territori.
Le risposte, dopo anni in cui gli eventi stagionali estremi si intensificano, continuano ad
essere decreti emergenziali, allerte rosse, stati di calamità e nomine di commissari ad hoc
per gestire situazioni che ormai si sono cronicizzate.
Sta a noi guardare in faccia la realtà di un problema sistemico ed organizzarci per
estirpare le radici di un modello che moltiplica la distruzione dell’unico pianeta che
abbiamo a disposizione.