UNIVERSITÀ DELLA CRISI. Tra aule sovraffollate, economia di guerra e ipercompetizione che uccide.

1 – NUOVE MATRICOLE, VECCHI PROBLEMI

Per la prima volta dopo due anni di restrizioni le università pubbliche ritornano a essere frequentate senza limitazioni: non vi sono più aule a capienza limitata, eliminate le prenotazioni per il tracciamento, reso non obbligatorio l’uso della mascherina, ma soprattutto le lezioni sono tornate al 100% in presenza con l’eliminazione (totale o parziale) della didattica a distanza. Questi due anni di università semi-blindata hanno acuito alcuni processi già in atto da tempo, tra questi dobbiamo menzionare la riduzione di molti spazi degli studenti (chiusura di aule autogestite, aule studio), il doppio standard tra studenti di serie A e di serie B, accesso all’università con controllo militarizzato, repressione delle iniziative politiche degli studenti. 

Quest’anno la riapertura totale alle lezioni è avvenuta senza un piano adeguato alla ripartenza, mostrando l’incapacità del ministero dell’università di gestire il ritorno in presenza di centinaia di migliaia di studenti che prima seguivano i corsi online. Infatti, gli studenti si sono riversati in aule non abbastanza grandi da poter ospitarli tutti, così facendo riemergere il problema storico delle aule sovraffollate nell’università. Un problema che non è nuovo e temporaneo, ma che è strutturale e da sempre al centro delle critiche degli studenti, non possiamo però non notare che ora riemerge con più forza, e che il lockdown lo aveva reso un problema solo latente. In moltissimi atenei d’Italia si è acceso fin dalle prime settimane il malcontento degli studenti che non trovando posto sono costretti a seguire lezioni seduti per terra, fuori dalla finestra, o addirittura a non seguirla proprio tornando a casa. Ma anche situazioni di vera e propria guerra fra studenti che per potersi sedere prendono il posto anche ore prima dell’inizio della lezione.

2 – QUALE RIPARTENZA FRA QUESTE MACERIE?

La disastrosa condizione di ripartenza nella quale ci troviamo ha delle cause ben precise. La totale perdita della funzione emancipatrice dell’università pubblica ormai incapace di garantire un reale diritto allo studio per tutti gli studenti è stata generata dalle politiche neoliberiste nazionali ed europee degli ultimi 30 anni, che hanno condotto feroci tagli ai fondi per l’istruzione con l’obiettivo di svendere l’università ai privati e di portare a termine il processo di elitarizzazione degli studi. Fin dal processo di costituzione dell’unione europea, la tavola rotonda degli industriali aveva individuato la necessità di un mondo della formazione maggiormente legato alle imprese, così avviando il Bologna Process, In Italia governi di centro destra e centro sinistra cominciano una serie di riforme volte proprio a riorganizzare l’intero sistema educativo al modello imprenditoriale.

La prima in questa direzione fu la legge 341 del 1990 elaborata da Ruberti, che nell’articolo 8 sancisce “la possibilità per le università di avvalersi della collaborazione di soggetti pubblici e privati”. Questa legge, insieme alla 168/1989 che introduce l’autonomia finanziaria e contabile, segnano lo spartiacque e inaugurano la privatizzazione dell’università. si comincia dai tagli al fondo di finanziamento ordinario (FFO), fino alla sua distribuzione in una quota premiale che vada a favorire gli atenei “migliori”, o di serie A, rispetto a quelli di serie B. (alcuni dati: nel 2008 il decreto Brunetta taglia al FFO 1,4 miliardi complessivi per il quinquennio 2009/13; il DEF del 2014 tagliava 30 milioni per il 2014 e 45 milioni per il 2015. Nel 2015 la legge di stabilità riduce ancora di 87 milioni il FFO, nel 2017 le università perdevano 63 milioni di finanziamento). Per contrastare questo strategico disinvestimento dalla quota pubblica (giustificato come politica di austerità) si risponde volutamente da un lato con i finanziamenti di corsi e le collaborazioni di ricerca con il privato, dall’altro aumentando le già pesanti tasse universitarie (incremento generale della tassazione diretta che dal 2005 al 2018 è aumentata di 400 milioni di euro, se compariamo 2009 -2019 è aumentata del 30%). Una volta innestata la direzione non c’è stata mai alcuna virata significativa sul percorso già stabilito, le entrate dell’università sono ormai dipendenti in larga parte dagli investimenti privati, questo è un vero e proprio vincolo alla gestione dei fondi che devono essere reinvestiti a favore di corsi e convenzioni di ricerca utili al mercato, abbandonando qualsiasi investimento in ambito infrastrutturale.

3 – IL CASO ATTUALE: PNRR E GUERRA

Bisogna ora osservare la risposta europea e nazionale alla crisi economica e sanitaria scoppiate nel 2020. Infatti, la politica monetaria di Bruxelles si è discostata dalla linea di austerità e ha intrapreso un intervento straordinario di iniezione di liquidità, il Recovery Fund, da un lato per resistere alla crisi, dall’altro per riorganizzare e rinnovare il tessuto produttivo europeo. Questo si concretizza in Italia con il PNRR che si pone le missioni di un rinnovamento green e digitale. Con il PNRR i finanziamenti all’università sono oggettivamente aumentati, ma non certamente nell’ottica di garantire il diritto allo studio, ma con il solito fine di finanziare la ricerca nei settori richiesti dalle imprese. La quarta missione del NextGeneration Europe si chiama “istruzione e ricerca” e prevede lo stanziamento di 33,81 miliardi, di cui 30,46 dal PNRR, 1.93 dal React EU, 1 da quello complementare. Insomma, nonostante siano stati diramati verso l’istruzione molti miliardi, non abbiamo notato nessuna riqualificazione edilizia, abbassamento delle tasse o maggiori borse di studio, questa enorme liquidità è la linfa che gonfia di soldi i settori strategici alla riconversione green e digitale dell’istruzione e la ricerca, con l’esplicito obiettivo di rendere le aziende italiane più competitive nei mercati internazionali.

Ne è un esempio il problema delle residenze pubbliche universitarie: riportiamo un pezzo del testo della quarta missione del PNRR.

Riforma 1.7: Alloggi per gli studenti e riforma della legislazione sugli alloggi per studenti.

La misura si basa su un’architettura innovativa ed originale, che ha l’obiettivo di incentivare la realizzazione, da parte dei soggetti privati, di nuove strutture di edilizia universitaria attraverso la copertura anticipata, da parte del MUR, degli oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture stesse. L’obiettivo è quello di triplicare i posti per gli studenti fuorisede, portandoli da 40mila a oltre 100 mila entro il 2026. Questa misura sarà resa possibile attraverso la revisione dell’attuale legislazione in merito alla realizzazione degli alloggi per studenti (L. 338/2000 e d.lgs. 68/2012). Le principali modifiche previste sono le seguenti:

Apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati

 • Supporto della sostenibilità degli investimenti privati, con garanzia di un regime di tassazione simile a quello applicato per l’edilizia sociale, che però consenta l’utilizzo flessibile dei nuovi alloggi quando non necessari all’ospitalità studentesca

• Adeguamento degli standard per gli alloggi, mitigando i requisiti di legge relativi allo spazio comune per studente disponibile negli edifici in cambio di camere (singole) meglio attrezzate;

• Agevolazioni per la ristrutturazione e il rinnovo delle strutture in luogo di nuovi edifici greenfield (prevedendo una maggiore percentuale di cofinanziamento, attualmente al 50 per cento), con il più alto standard ambientale che deve essere garantito dai progetti presentati

• Digitalizzazione della procedura per la presentazione e la selezione dei progetti.

Risulta chiara la direzione politica: il pubblico che finanzia direttamente i privati, gonfiandone i profitti, che potranno poi costruire alloggi a seconda dei propri interessi: green, smart, tech, e attrattivi, a qualsiasi prezzo. Lo Student Hotel ne è un esempio.

Relativamente al problema che sta riesplodendo delle infrastrutture, il PNRR affronta la questione integrandolo in un paragrafo in cui il tema principale è la valorizzazione delle Lauree STEM. 

M4C1.3 AMPLIAMENTO DELLE COMPETENZE E POTENZIAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE

La qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dipende fortemente dalla riqualificazione e dall’innovazione degli ambienti di apprendimento. Le misure di seguito presentate hanno l’obiettivo di potenziare la didattica digitale e diffondere l’insegnamento delle discipline STEM e del multilinguismo, sia nei percorsi scolastici che all’università. Allo stesso tempo, si prevedono importanti investimenti di carattere infrastrutturale, sia per digitalizzare gli ambienti di apprendimento, sia per colmare le carenze degli edifici scolastici in termini di sicurezza ed efficienza energetica.

Solo al punto 3.3 si parla di messa in sicurezza e riqualificazione degli edifici:

Investimento 3.3: Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica.

La misura ha come obiettivo principale quella di consentire la messa in sicurezza di una parte degli edifici scolastici, favorendo anche una progressiva riduzione dei consumi energetici e quindi anche contribuire al processo di recupero climatico. Gli obiettivi principali in dettaglio sono:

• Miglioramento delle classi energetiche con conseguente riduzione dei consumi e di emissione di CO2 • Aumento della sicurezza strutturale degli edifici Particolare attenzione è riservata alle aree più svantaggiate con l’obiettivo di contrastare ed eliminare gli squilibri economici e sociali. Il Ministero dell’Istruzione gestirà il processo di autorizzazione, monitoraggio e rendicontazione fattuale e finanziaria di tutti gli interventi. La realizzazione degli interventi e delle opere avverrà sotto la responsabilità degli Enti Locali proprietari degli edifici scolastici pubblici. Il piano di riqualificazione proposto mira a ristrutturare una superficie complessiva di 2.400.000,00 mq. degli edifici scolastici.

Nonostante i soldi del PNRR messi a disposizione per l’università e le tasse degli studenti, che abbiamo continuato a pagare integralmente anche durante il periodo di Lockdown, non abbiamo visto alcun intervento dell’università negli interessi degli studenti che la vivono, le aule sono stracolme e troppo piccole, non ci sono adeguati e sufficienti luoghi dove poter studiare, gli studenti fuorisede continuano a pagare affitti carissimi, non viene garantito il diritto allo studio.

Parallelamente a questi investimenti di tipo strutturale va detto però che siamo in un contesto internazionale di guerra, voluta dalla NATO e con l’importante partecipazione dell’Unione Europea, che hanno portato il Governo Draghi ad approvare un aumento delle spese militari fino al 2% del PIL. Si parla di circa 38 miliardi l’anno per fomentare la guerra, fabbricare ed inviare armamenti e allargare il comparto bellico in Italia. Questo, per quanto riguarda la situazione internamente al nostro paese, ci porta a due considerazioni:

  • sono soldi scientemente non indirizzati alla spesa sociale, dalla formazione, ai servizi pubblici, al diritto alla casa e alle politiche pubbliche
  • sono investimenti che il governo in qualche modo dovrà ripagare con ulteriori tagli ai settori già citati.

4 – RIBALTIAMO QUESTO MODELLO!

Il ritorno in presenza dopo anni di pandemia e l’ingresso massiccio di matricole dopo due anni di relazioni sociali limitate nella totale mancanza della scuola come punto di riferimento, hanno generato un importante sentore di malcontento generalizzato tra gli studenti. Questo, se sommato alla generale crisi di prospettive nella quale le giovani generazioni sono inserite da tempo, un senso di ansia e angoscia esistenziale dato da lavoro povero e precario, mancanza di sicurezza di una casa, i costi di libri, bollette, trasporti, cibo in costante aumento, ci consegnano una situazione di potenziale fibrillazione. Da troppo tempo ormai le nostre università continuano indisturbate la loro “normale amministrazione” concedendo solo raramente qualche piccolo miglioramento o discutendo “a porte chiuse” con associazioni studentesche che cantano vittoria dimenticandosi la partecipazione degli studenti e le lotte.

Il percorso di agitazione portato avanti in queste settimane (aggiungere riferimento) a Bologna ha infatti riaperto il dibattito sull’Università e sulla necessità di organizzazione degli studenti, a partire dalla questione delle aule sovraffollate con l’accelerazione determinata dall’ennesimo studente universitario suicida che mette in discussione l’intero modello universitario, si è riusciti ad ottenere un incontro. Sappiamo che sicuramente non sarà risolutivo per i problemi degli studenti, ma possiamo dire essere una tappa intermedia significativa nella costruzione delle mobilitazioni e un primo risultato che ricorda a tutti la necessità di costruire percorsi di lotta, di contestazione politica, agitazione e organizzazione.

Anche a Roma, nella sede della Sapienza di Villa Mirafiori, abbiamo rivitalizzato uno strumento di lotta ormai considerato obsoleto nel mondo degli studenti universitari: lo sciopero. Un percorso di lotta che dallo specifico caso di una sede, in cui a tempo una soggettività organizzata si sviluppa, svolge una funzione generale, essendo esempio per gli studenti delle altre facoltà e portando la lotta sotto al Rettorato.

Di fronte a questo contesto è evidente che qualsiasi soluzione proposta che non siano straordinarie risorse per le infrastrutture è da rifiutare: dall’uso della didattica a distanza, alla canalizzazione o suddivisione dei corsi, all’introduzione del numero chiuso in corsi ad accesso libero. L’unica vera risposta sono maggiori risorse al diritto allo studio: ristrutturazione e ampliamento degli edifici, libero utilizzo di tutte le strutture pubbliche per le lezioni e riqualificazione dell’abbandonato, per le lezioni, per gli studentati, per nuove aule studio e biblioteche, per maggiori spazi comuni. Perché lo studio è un diritto e la formazione una priorità.

Processi questi, che necessariamente dovranno essere trasparenti e pubblici, in costante confronto con gli studenti, per una maggior partecipazione.

Si dice che non ci sono soldi da investire nella formazione, ma quando la Nato chiede l’aumento della spesa militare al 2% il nostro parlamento china il capo e obbedisce immediatamente alla richiesta di escalation. E allora contestare la guerra imperialista NATO è negli interessi anche e soprattutto dei giovani e degli studenti che si ritrovano senza un posto per seguire lezione in aula, o che sono costretti a pagare centinaia di euro per pochi metri quadrati di camera. La lotta degli studenti per le aule e per il diritto alla casa, va portata avanti dentro e fuori l’università.

Per una nuova università in una nuova società!