STUDENTI E OPERAI UNITI PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

La lotta dei lavoratori dell’ILVA è anche la nostra lotta per una nuova società: 19 gennaio ore 14 tutti al MISE!

Il Governo Meloni apre l’anno con un decreto legge denominato “misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale” indirizzato in particolar modo all’ex-Ilva di Taranto (ora parte del gruppo Acciaierie d’Italia) che prevede lo stanziamento di circa di 680 milioni di euro come “prestito-ponte” allo scopo di risanare l’azienda dal punto di vista economico e ambientale.

Nell’attesa dell’ingente somma garantita dal governo, la produzione si conferma essere scesa sotto i livelli del 2020, con l’aggravante della mancanza di liquidità e forni fermi. Il cosiddetto “ponte” non servirebbe ad altro che appianare i debiti dell’azienda. E sulla scia delle innumerevoli deroghe penali che negli anni i vari proprietari dell’acciaieria, i Riva prima, Ancelor Mittal poi e infine la dirigenza di Acciaierie d’Italia, anche questo governo dimostra di non voler assumere la responsabilità e la scelta politica di un cambio di rotta sulla vicenda ex-Ilva, che tanto ha danneggiato la città e il suo popolo per il disastro ambientale e umano inferto. Il decreto legge infatti prevede anche norme tese ad attivare procedure per l’amministrazione straordinaria in caso di insolvenza della società.

I sindacati dei lavoratori dell’ex-ILVA, con in testa l’Unione Sindacale di Base, hanno lanciato di tutta risposta per il 19 gennaio uno sciopero e una mobilitazione davanti alla sede del Mimit-Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE) a Roma, per portare al governo la necessità (sentita dai lavoratori e dalla città di Taranto tutta), di discutere del futuro dello stabilimento. In particolare le rivendicazioni dei lavoratori in lotta da anni sono chiare: che lo Stato intervenga direttamente nella gestione e che metta in atto una vera e propria conversione economica e sociale non solo dello stabilimento ma di tutta l’area.

Il clima avvertito dai lavoratori è avverso come lo è sempre stato. Anche di fronte al referendum lanciato dai sindacati per porre ai lavoratori libere scelta ed espressione rispetto all’ultimo decreto salva-Ilva e all’opportunità di una ricapitalizzazione immediata da parte dello Stato, la dirigenza di Acciaierie d’Italia ha messo in campo tutti i mezzi  a disposizione per disincentivare la partecipazione prima al referendum e poi allo sciopero, arrivando a querelare un giornalista per il suo lavoro nella ricostruzione delle vicende legate all’ex-Ilva. Tutto questo, dopo anni di forte repressione e di fascismo aziendale esercitato nei confronti dei lavoratori sindacalizzati e non, a dimostrazione che la storia dell’acciaieria è arrivata a uno snodo e comincia a dimostrare in maniera quanto mai evidente la sua portata.

La presenza dell’Ilva ha rappresentato negli anni un concentramento del fallimento di un sistema economico e industriale nel nostro paese che altro non ha fatto che distruggere non solo un territorio ma migliaia di vite, a partire dai lavoratori, morti sul lavoro costretti a lavorare in condizioni prive di sicurezza, alle loro famiglie, ai loro figli che sono  stati lentamente avvelenati.

Gli ultimi passi del governo sono in continuità con tutta la storia dell’acciaieria. Infatti i fondi del prestito-ponte licenziato dal Consiglio dei Ministri si sommano a circa un miliardo di euro dal DL Aiuti bis e di risorse previste per il DRI (Direct Reduced Iron, il semilavorato impiegato per la produzione dell’acciaio). Questi fondi in ogni caso rientrano in un ciclo di investimenti legati allo sviluppo industriale in chiave green dell’area di Taranto, con l’attivazione di campi eolici “floating” (offshore), iniziative di economia circolare tramite il recupero dei sottoprodotti (cementificio), attivazione di impianti di desalinizzazione tramite il recupero delle acque dolci dei fiumi Tara e Sinni, lo sviluppo del porto tramite impianto di de gassificazione galleggiante. Per non parlare dei fondi del PNRR, di cui si sono recentemente sbloccate le risorse destinate alla realizzaione di “Hydrogen valleys”, ovvero la conversione di impianti industriali obsoleti o dismessi per la produzione di idrogeno.

Risulta chiaro ormai da tempo, da quando l’Unione Europea ha sancito il suo Green New Deal nel 2019, con le riproposizioni del Recovery Fund, che le intenzioni della governante europea, riprodotte poi a livello locale in Italia dai governo che in questi ultimi 3 anni si sono succeduti, è quello di capitalizzare il più possibile le risorse ancora presenti sul territorio continentale. Non sarebbe una sana conversione sociale e rigenerazione ambientale l’obiettivo dei provvedimenti legati al PNRR o a questi ultimi fondi elargiti dal governo Meloni, ma piuttosto quello di spremere quanto ancora c’è di sfruttabile (risorse naturali, suolo, forza lavoro).

Non mancano tuttavia tentativi maldestri e completamente insufficienti e inadeguati nell’affrontare la crisi sociale che una città come Taranto si ritrova ad affrontare. Sono stati infatti indirizzati circa 30 milioni dei fondi pubblici Ilva in amministrazione straordinaria [da spendere e rendicontare in 3 anni – poca cosa rispetto al prestito concesso ad Acciaierie d’Italia], per il finanziamento di una rigenerazione sociale, sviluppo economico e inclusione. Parole che non ci  sono nuove, perché nel Mezzogiorno assistiamo da decenni a un gioco dell’Oca da parte di governante politiche, amministrative e imprenditoriali per cui allo smantellamento dell’assetto industriale e produttivo locale si risponde in misura del tutto emergenziale con fondi estemporanei finalizzati alla realizzazione di progetti di medio termine. Un’elemosina a tempo determinato e che non basta a rimediare all’emergenza sociale che nelle città e nelle province del Sud continua ad acuirsi. Irrimediabilmente questa situazione lascia spazi sconfinati al cementificarsi di una crisi di prospettive per i giovani. A cominciare dai dati sulla disoccupazione che tra città e provincia di Taranto arriva a circa 45%. Si somma  a questo una generale precarietà lavorativa, tra lavoro nero, povero e informale, che come in tutto il Meridione, è lo strumento utilizzato da padroni di diverso calibro per ricavare quanto più possibile dalla forza-lavoro (giovane e non). Il cerchio si chiude quindi nel voler far diventare una terra come quella tarantina l’ennesimo esperimento di politiche e attività predatorie a 360 gradi.

Risulta chiaro quindi che una mobilitazione come quella promossa e spinta dall’USB e dai sindacati dei lavoratori dell’ex-Ilva non rappresenti soltanto un momento importante di lotta per migliaia di lavoratori che hanno visto calpestati e umiliati negli anni i loro diritti, dai diritti sindacali, al diritto alla salute e a un ambiente sano, al diritto di una vita dignitosa che non costringe a scegliere tra il lavoro e la salute. Si tratta di un momento significativo di una lotta che riguarda il destino di un intero territorio e si fa simbolo di riscatto per un’intera generazione di giovani, soprattutto al Sud che ha visto negato qualsiasi futuro dignitosa, una generazione tradita che ha bisogno di ricostruire dalle macerie della barbarie di questa società una nuova società che risponda concretamente ai bisogni della collettività.

CAMBIARE ROTTA / OSA