LAVORO INDECENTE, PRECARIETÀ PERMANENTE, DALLE UNIVERSITÀ AI QUARTIERI – 4 FEBBRAIO IN PIAZZA UNITI PER IL REDDITO

Cercasi personale giovane e superqualificato per… lavorare sei mesi gratis. Offerte di questo genere, che dovrebbero essere considerate ridicole in un Paese attento al welfare e alle norme per la tutela del lavoro, sono pane quotidiano nel mercato del lavoro attuale, soprattutto per i giovani. Proprio questo ad esempio è il contenuto di un bando, pubblicato dal Comune e dal Museo del Mare di Genova, che all’inizio della settimana abbiamo contestato insieme a Slang-USB: un’inaccettabile “offerta” di schiavitù, sintomo di una crisi ormai strutturale.

In Italia infatti si contano più di 3 milioni di lavoratori poveri e 2 milioni di disoccupati. A ciò si aggiunge una situazione contrattuale e retributiva al limite dell’assurdo anche per chi percepisce salari un po’ più alti, da un lato con la completa polverizzazione della disciplina contrattuale che ha precarizzato e frammentato sempre di più le posizioni tradizionali, dall’altro con un’inflazione che ha fatto diminuire del 10% (Istat) la retribuzione netta a disposizione dei lavoratori negli ultimi 15 anni – caso unico in Europa.

Lungi dall’invertire la direzione tenuta salda dai governi di centrodestra e centrosinistra degli ultimi 30 anni, la Meloni salita al volante ha schiacciato l’acceleratore delle politiche antipopolari, scagliandosi in una crociata contro il Reddito di Cittadinanza e a favore del mercato e dei privati. Inoltre, sembra aver già in anticipo rifiutato qualsiasi ipotesi di introduzione di salario minimo, aumento delle pensioni, miglioramento dei contratti (anzi, si parla di ulteriore estensione dei contratti a termine), sostegno alle fasce più fragili economicamente e ai territori del Meridione più colpiti da crisi e ristrutturazioni.

Giustificata con pretesti risibili o più spesso con la retorica classista del “divanismo”, dei percettori-parassiti dell’elemosina di Stato, dei giovani “choosy” e scansafatiche, la manovra di riforma (e in tendenza eliminazione) del RdC avrà conseguenze molto serie. Innanzitutto si taglia su una misura che, nonostante i suoi limiti, ha rappresentato un argine alla povertà durante gli scorsi anni e soprattutto durante lo stop pandemico, trattenendo più di un milione di persone dal finire in povertà assoluta e garantendogli almeno un livello minimo di accesso a beni e servizi essenziali. Lo si fa poi in un contesto di carovita in crescita verticale. In più, questo al reddito rappresenta anche un assalto finale al lavoro in generale: non solo un ricatto ai danni dei percettori di RdC, ma anche un’arma per comprimere ulteriormente le retribuzioni di tutti i lavoratori stabilendo una competizione ancor più a ribasso.

È evidente che questa furia antipopolare si colloca sulla scia delle riforme targa UE degli ultimi decenni, ma anche delle esigenze dettate dalla crisi più “recente”: l’inflazione aggravata dalla crisi energetica, la competizione economica esasperante che a livello globale ha prodotto la guerra attuale, la necessità di fare spesa militare per questa guerra in cui il blocco euroatlantico si gioca la sua credibilità e le sue prospettive di sviluppo… Ecco gli ingredienti di una stagione in cui per le fasce popolari non ci saranno che briciole, e per i settori combattivi che si mobiliteranno non ci sarà che repressione.

Come giovani, siamo colpiti appieno da questa crisi. Viviamo infatti un sistema di sfruttamento che comincia tra i banchi di scuola con l’Alternanza scuola-lavoro e viene di nuovo legittimato da stage e tirocini gratuiti a cui siamo spesso costretti anche all’Università. Frequentiamo quest’ultima senza più poter sperare che ci garantisca un’emancipazione socioeconomica e culturale, e appena ne veniamo fuori cadiamo nella trappola dei contratti inesistenti e degli stipendi da fame. Ai settori più vulnerabili e presi di mira dalle politiche antipopolari ci accomuna anche la difficoltà di far fronte al carovita in aumento, che ha visto lievitare tanto i prezzi dei beni primari quanto, ad esempio, il mercato degli affitti. L’accesso alla formazione, già tutt’altro che gratuito considerando i costi elevati dei materiali di studio, delle tasse ecc., potrebbe e dovrebbe essere almeno sostenuto da misure di welfare, ma quello a cui assistiamo dimostra che stiamo andando in direzione contraria.

Ecco allora la necessità rinnovata di saldare le nostre lotte con il sindacalismo di base e conflittuale, come abbiamo fatto con lo sciopero del 2 dicembre e la manifestazione nazionale del 3 – al grido di “Abbassare le armi e alzare i salari” – e con i lavoratori di ex-Ilva davanti al nuovo “MIMIT” il 19 gennaio. Continueremo a farlo aderendo e partecipando alla campagna UNITI PER IL REDDITO, accanto all’Unione Sindacale di Base e alla Federazione del Sociale a difesa del RdC, con una prima giornata di agitazione nazionale il 4 FEBBRAIO, che vedrà iniziative coordinate in tutte le città d’Italia.