La sfida del conflitto per le nuove generazioni. Riflessioni giovanili su “Per una teoria del conflitto” di A. Mazzone

Come organizzazione giovanile comunista stimolati dalla lettura de “Per una teoria del conflitto” abbiamo deciso di pubblicare qualche riflessione rivolgendoci a chi, tra le giovani generazioni, è in cerca di un’alternativa alla miseria e alla distruzione del presente che ci circonda. Un contributo che speriamo possa incentivare i giovani alla lettura di questo libro che riteniamo fornire elementi di ragionamento e di metodo avanzatissimi, fondamentali per orientare la prassi politica comunista. Una raccolta di scritti che, nel solco della migliore tradizione marxista, non rimane “lettera morta” ma contribuisce – nella sua capacità di leggere il mondo – al lavoro di chi si impegna ogni giorno nella costruzione del movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, perché studiare teoria significa affilare le proprie armi.

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Per una teoria del conflitto, pubblicato da La Città del Sole, a cura di Roberto Fineschi, frutto di un progetto editoriale a cui hanno collaborato l’associazione Laboratorio Critico, presieduta dal curatore del volume e la Rete dei Comunisti, raccoglie, nel decennale della morte avvenuta nel 2012, una parte degli scritti dell’ultimo periodo della produzione di Alessandro Mazzone. La funzione di questi scritti è quella di contribuire alla ripresa di un dibattito teorico-politico di alto livello intorno ai punti essenziali della migliore tradizione marxista di cui Mazzone ha fornito una articolata e originale sintesi. Si tratta, come scrive il curatore, che di Mazzone è stato allievo diretto, di un gruppo di saggi che enucleano «una serie di nodi problematici che, in qualche modo, davano una dimensione teorico-politica più accessibile alla sua sofisticata teoresi degli anni precedenti».

Abbiamo subito capito l’importanza di questa raccolta di saggi perché riteniamo fondamentale l’apporto teorico e filosofico-politico per qualsiasi organizzazione comunista che si ponga come obiettivo lo stravolgimento rivoluzionario dei rapporti di classe oggi dominanti. In particolare, solide basi teoriche diventano imprescindibili per un’organizzazione giovanile i cui militanti sono nati e vissuti con una concezione del mondo e della vita completamente opposta a quella comunista, addirittura immersi in una visione della realtà totalizzante che non contempla neanche la possibilità di un impianto di categorie differenti.

Quindi, vogliamo sforzarci di riflettere sul patrimonio che ci lascia la storia del pensiero marxista nella quale è compresa l’eredità di un filosofo e compagno di livello che attraverso lo studio del pensiero marxiano ed hegeliano, fornendo i mezzi per capirlo senza banalizzarlo, utilizzando un metodo investigativo e scientifico per analizzare il movimento storico, criticando la cultura dell’immediato e del “fare senza il sapere”, con onestà intellettuale e senso del limite ha messo un nuovo mattoncino nel grande muro del sapere. E non si è limitato a questo perché, da comunista in senso marxiano, non ha soltanto riflettuto su alcuni nodi tematici importanti, ma li ha anche inquadrati in una dimensione storico politica che prospetta ricadute pratiche precise.

Il volume è suddiviso in tre parti: Per un’analisi del concetto di classe; Teoria della storia e della transizione; Stato moderno, democrazia, imperialismo, precedute dai saggi introduttivi del curatore e di Mauro Casadio, per la Rete dei Comunisti, e dal curriculum e dall’autobiografia redatta da Mazzone stesso, con un’appendice, infine, dedicata alla nuova edizione filologica e storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la MEGA2, di cui Mazzone ha avuto il merito di introdurre lo studio in Italia. La prima parte è dedicata al concetto di classe, alla sua storia fino all’articolazione nell’attuale modo di produzione capitalistico e alla nozione fondamentale di egemonia; la seconda è dedicata alla teoria della storia con particolare attenzione ala concetto di formazione economico-sociale, alle forme di sfruttamento e dispotismo del capitalismo attuale e alle possibili forme di transizione verso società socialiste fuori dal capitalismo; la terza sezione affronta questioni più concrete legate agli effetti di questo modello economico sulla comunicazione e sull’alta formazione universitaria e sui concetti di democrazia e imperialismo.

Tra le tante tematiche affrontate nel corso del testo, vogliamo qui tracciare alcuni appunti, ossia porre l’attenzione su alcuni elementi che ci sembrano importanti per i giovani militanti che vogliono approcciarsi all’ipotesi rivoluzionaria comunista nel XXI. Senza ovviamente la pretesa di essere sistematici oppure di comprendere in questo breve contributo tutte le tematiche rilevanti presenti nella raccolta di saggi di Mazzone, ci focalizziamo su alcuni contenuti utili a far comprendere meglio non tanto l’attività quotidiana, ma soprattutto, la prospettiva strategica propria della nostra organizzazione. Ciò che ci preme è individuare nel volume quei punti salienti e quei nodi teorici utili per iniziare a comprendere il discorso di Mazzone nel suo complesso che, appunto, per essere capito, deve essere studiato nella sua interezza.

Che cosa significa teoria del conflitto?

Una delle distinzioni teoriche più importanti che si deve a Mazzone e che compare più volte nelle tre sezioni di questo volume è quella tra il concetto di Modo di Produzione Capitalistico e i capitalismi storicamente determinati ossia la Formazione Economico Sociale in evoluzione nel tempo. La prima categoria, quella di MPC è più universale, più generica e delinea la logica ossia la legge di movimento interna ad un modo di produzione; essa va distinta dalle caratteristiche fenomeniche che si manifestano nelle diverse fase storiche in cui il capitalismo si è configurato: dalla fabbrica ottocentesca, alla produzione in serie taylorista e fordista, alle forme contemporanee di accumulazione flessibile. È chiaramente diverso analizzare le dinamiche del capitalismo inglese ottocentesco, oppure le condizioni della fabbrica fordista negli Usa del dopoguerra o nei centri industriali italiani negli anni Settanta, ancora differente è indagare le dinamiche dello sfruttamento odierne in un paese del centro o delle periferie capitalistiche. Tuttavia, i meccanismi di queste diverse fasi storiche sono connessi in modo dialettico, in quanto sono tutti manifestazioni temporaneamente determinate dello stesso Modo di Produzione Capitalistico e quindi sono unificate dalle leggi di questo modo di produzione che, a sua volta, esiste concretamente soltanto nelle sue complesse articolazioni empiriche che si sono date nella storia economica e sociale. Un esempio su tutti dimostra l’efficacia di questa distinzione per comprendere e utilizzare a fondo la teoria marxiana come metodo di analisi scientifico della realtà: in passato si è fatto leva sulla classe operaia come principale antagonista del capitale ed era corretto perché, in quel momento storico, la figura storica che corrispondeva alle forme della lotta di classe era proprio la classe operaia; poi, con l’inizio dell’accumulazione flessibile e la delocalizzazione della produzione nel nostro paese come nei paesi del centro capitalistico la classe operaia come soggetto antagonista si è trasformata in altre figure (i lavoratori della logistica, i lavoratori migranti, i lavoratori mentali, ecc. ecc.). Questo non significa che le classi non esistano più o che non ci siano più soggetti antagonisti al capitale, ma vuol dire che i capitalismi storicamente determinati si modificano pur rimanendo ferme le leggi universali del Modo di Produzione Capitalistico (la compravendita della forza-lavoro, l’estrazione di plusvalore ecc. ecc.).

Come il contributo di Mauro Casadio mette in luce, questa non è una distinzione puramente accademica ma ha ricadute fondamentali per la stessa organizzazione della soggettività politica perché non cogliere la distinzione concettuale elaborata dall’opera di Mazzone produce «due diverse ma speculari impostazioni, entrambe perdenti, effettivamente intraprese da settori diversi della sinistra di classe: da una parte l’abbandono degli strumenti analitici del marxismo e quindi la capitolazione teorica, anticamera della normalizzazione politica di chi si è trovato disarmato di fronte alla nuova fase segnata dall’accumulazione flessibile (per esempio le ipotesi basiste, la genericità e le imprecisioni tipiche del movimentismo che danno origine ad una banalizzazione del concetto di conflitto di classe); dall’altra l’incapacità di elaborare la teoria e quindi rimanere ancorati a strumenti efficaci in una fase precedente ma adesso non più in grado di incidere – in particolare il modello del partito di massa, per noi non ipotizzabile in quella crisi storica e neanche nel presente – che si radicava su una base materiale centrata sulla fabbrica fordista».

La nostra concezione del mondo

In uno degli scritti raccolti in Per una teoria del conflitto e precedentemente pubblicato su Proteo, Mazzone si interroga su come costruire la concezione del mondo comunista intesa come un’ideologia forte e con capacità egemoniche. Viene scritto chiaramente che i due elementi fondanti per costruire una vera e propria visione del mondo alternativa a quella del capitale sono la storia del movimento di classe e la teoria del materialismo storico. Da un lato, la consapevolezza della storia è utile per elaborare la possibilità storicamente data dall’alternativa e della transizione studiando le epoche rivoluzionarie. Dall’altro, lo studio della storia di classe conduce anche a riconquistare «l’orgoglio, la dignità nostra nella continuità di un movimento che ha imposto quel tanto di democrazia che sia mai esistita in Italia», ossia comprendere che la Riproduzione Sociale Complessiva (altra categoria fondamentale per Mazzone) non è qualcosa di astratto, i diritti che la contraddistinguono non sono stati generosamente concessi ma conquistati grazie all’azione del movimento di classe del quale, anche oggi, un’ipotesi rivoluzionaria raccogliere l’eredità. Dal canto suo, la teoria è una delle armi più raffinate e decisive perché è dallo studio della teoria che nasce l’intelligenza e così la capacità di elaborare una visione del mondo alternativa che si dialettizzi con la possibilità storica dell’alternativa.

Per concludere, occorre tornare sul titolo e quindi sulla teoria del conflitto. Questa parola è stata spesso usata a sproposito e banalizzata accompagnando così la tradizione marxista ad abbandonare il ragionamento teorico su di essa e così a concepire anche ipotesi politiche inefficaci. Ciò è stato al contempo effetto e concausa dell’enorme arretramento egemonico di fronte all’avversario di classe, laddove una parte significativa dell’intellettualità che avrebbe dovuto raccogliere l’eredità teorica del movimento comunista, ne ha in buona misura o del tutto sepolto la memoria o, peggio, ha distorto e piegato quella eredità in forme esplicitamente reazionarie, ormai al servizio dell’egemonia delle frange più aggressive dell’attuale capitalismo imperialistico. Nella fase completamente regressiva che minaccia l’esistenza della stessa umanità e che mostra tutti i limiti e le contraddizioni intrinseche del Modo di Produzione Capitalistico, appare evidente la ripresa dello studio della teoria e il passaggio all’applicabilità di questa con finalità politico rivoluzionarie. Una serie di passaggi è già stata fatta dalla storia del movimento di classe e del pensiero marxista, ma sono necessari ancora ulteriori momenti di analisi. Questo è il lavoro che abbiamo di fronte.