10 ANNI DOPO LA STRAGE DI LAMPEDUSA, IL MEDITERRANEO NORMALIZZATO A TOMBA-TRINCEA DEL “GIARDINO” EUROPEO

Esattamente dieci anni fa, il 3 ottobre del 2013, il naufragio di un barcone proveniente dalla Libia, in prossimità dell’Isola dei Conigli al largo di Lampedusa, provocava la morte accertata di 368 migranti. Solo una settimana dopo ne affondava un altro nelle stesse acque con a bordo 200 persone, di cui 60 minorenni.

Da allora – ma potremmo allargare il conto fino agli Novanta – abbiamo assistito a un vero e proprio bollettino di guerra quasi quotidiano che in questi dieci anni ha superato le 26’000 vittime, passando per un crescendo di stragi, dagli 850 morti nel canale di Sicilia del 2015 fino al tragico “record” di vittime dello scorso giugno al largo della Grecia, e intanto ancora Cutro e gli oltre 40 morti a Lampedusa solo questo agosto – mentre intanto chi riesce a raggiungere l’isola, scampando la morte nei lager libici e poi nelle traversate, viene trattenuto negli hotspot come carne da macello e dato in pasto alla becera propaganda del governo Meloni, fresco dell’ultima mostruosa trovata del ricatto dei 5000 euro.

Dalla strage di Lampedusa il tema si è definitivamente imposto nel dibattito pubblico e politico, distorcendosi nella falsa contrapposizione tra le propagandistiche dichiarazioni di guerra delle destre ai migranti – tra deliri assortiti su chiusura dei confini e affondamenti dei barconi – e l’ipocrita bandiera dell’accoglienza agitata, invece, dalla “sinistra” – che oltre tutto quel 3 ottobre del 2013 esprimeva il suo Letta a capo dell’allora governo “tecnico” – che non solo aveva battezzato questa stagione di stragi coi governi Prodi e D’Alema a fine Novanta, ma ha fatto da apripista con la Turco-Napolitano del ‘98 alla disumana, razzista e classista gestione dei flussi migratori che si è perfezionata fino all’attuale governo passando per la Bossi-Fini, Minniti e Salvini, in rigorosa e coerente alternanza tra i diversi schieramenti politici.

Ma al di là di questa mascherata che anima, inquinandolo, il dibattito nel nostro paese, la sostanziale unità di vedute, e di azione, su questo tema è di nuovo prodotto delle politiche attutate a livello continentale dall’Unione Europea. Lo scontro sulla gestione dei flussi migratori che vediamo tra paesi membri – è di questi giorni l’azzardo giocato dal governo Meloni contro la Germania – non è che il risultato dell’ingovernabilità di contraddizioni epocali innescate proprio dall’imperialismo europeo, con decenni di guerra, ricatti finanziari e destabilizzazioni nel “giardino di casa” africano – che intanto ora perde i pezzi con il risveglio antimperialista che va segnando le vicende del Sahel.

Come sul fronte interno non rimane altro margine di tenuta che scaricare tutti i costi della crisi e della ristrutturazione obbligata dalla tendenziale frammentazione del mercato mondiale su lavoratori, classi popolari, giovani, donne e, ancora, migranti, così la gestione dei flussi migratori vede da una parte una selezione di classe dei migranti in base a qualifiche e necessità del mercato – con la Germania caposcuola con i migranti siriani e afghani – per destinare tutti gli “esuberi” nei settori del lavoro neo-schiavistico, e dall’altra l’unico margine praticabile nella militarizzazione dei confini con Frontex, nel finanziamento di lager e tagliagole sull’altra sponda del Mediterraneo, nella barbarie dei CPR e dei rimpatri e nella normalizzazione della stragi in mare, a cui è perfettamente funzionale la mistificazione prodotta dallo scontro tra governi e false opposizioni, nella sostanza del tutto interscambiabili.

Non c’è risoluzione possibile dentro lo stesso modello di sviluppo che produce e si riproduce su queste contraddizioni, esasperandole fino al punto di non ritorno. Lo vediamo da ogni lato, nella strutturale tendenza alla guerra, nella devastazione climatica e ambientale, nell’intensificazione senza limiti dello sfruttamento e nell’assenza di prospettive per le nuove generazioni.

Non c’è scorciatoia che tenga, anche sul tema dei flussi migratori l’unica strada è la messa in discussione alle fondamenta di questo sistema regressivo e fallimentare, l’opposizione di classe, senza ambiguità e compromessi col nemico, in una prospettiva di rottura dell’imperialismo europeo e della sua attuale configurazione euro-atlantica a base NATO.