Alcune riflessioni sul DDL 1240, la precarizzazione della ricerca e le prospettive di lotta
Il pacchetto di misure sull’università e la ricerca messo in campo dal governo è un attacco a 360 gradi alla filiera dell’istruzione, alta formazione e ricerca. Gli ingenti tagli al FFO, il disegno di legge sul pre-ruolo, la riforma complessiva a cui la ministra Bernini ha messo al lavoro una specifica commissione, si inseriscono in continuità con la stagione di contro-riforma neoliberista che porta oggi a compimento lo stravolgimento di università e ricerca e della loro funzione.
La crisi in cui versa l’Occidente e il livello della competizione internazionale sempre più militarizzata, impongono alla classe dirigente occidentale ed europea di attrezzarsi per l’adozione di un’economia di guerra anche tramite la stretta sui principali asset strategici, tra cui quello della conoscenza e della ricerca. Garantire lo sviluppo di conoscenza, know-how, tecnologia di avanguardia da inserire direttamente nel sistema produttivo sotto il controllo dei privati è fondamentale per efficientare la produzione, ritagliarsi nuove porzioni di mercato e “armarsi” militarmente e ideologicamente. Su università e ricerca serve quindi tagliare la spesa mantenendo investimenti mirati, e irreggimentare il lavoro di ricercatori e ricercatrici con maggiore sfruttamento, flessibilità (precarietà!) assoluta, e una forte subordinazione materiale e ideologica.
L’imperativo di armarsi è centrale – dual-use, ricerca decisa e finanziata dalle aziende di armi – ma non esaurisce il quadro delle riforme: quella dell’università e della ricerca è una macchina complessa, la cui trasformazione è stata immaginata un passo alla volta, intervenendo su diversi aspetti della filiera. Il DDL 1240 sul pre-ruolo, in particolare, che va a innalzare da tre a cinque il numero di figure precarie nel mondo della ricerca, risulta un tassello fondamentale. Reclutamento, contratti e salari dei lavoratori della ricerca devono garantire competitività, progetti utili al profitto e abbassamento dei costi nel contesto complessivo di riduzione della spesa. La precarietà strutturale deve impedirgli di assumere coscienza della loro condizione o, quando la assumano, di opporsi ed organizzarsi. La spietata competizione per assicurarsi un futuro nella ricerca e nell’università deve espellere ogni elemento non produttivo o, peggio, critico.
Non solo quindi università e ricerca come appendice del comparto militare-industriale, ma anche come ambito di riproduzione di soggetti, prima studenti poi dottorandi, ricercatori, docenti, che dagli ambiti umanistici a quelli più direttamente legati all’innovazione scientifica e tecnologica siano “convinti o costretti” a riprodurre questo sistema accettandone e talvolta giustificandone le storture. Un sistema in crisi che tenta di stringere anche sulla subordinazione materiale e ideologica deve però fare i conti con peggioramento delle condizioni materiali di chi studia, ambisce a lavorare o lavora in università e enti di ricerca. Peggioramento evidente, che parla alle pance di un’intero corpo sociale che sta cominciando a mettere in discussione questa deriva.
La battaglia vertenziale e sindacale contro la precarizzazione e l’espulsione dal lavoro, se organizzata coraggiosamente e in indipendenza da forze politiche e sindacali complici del governo attuale e dei precedenti passaggi di riforme, può portare a un risultato significativo: riconoscersi come lavoratori subordinati, soggetti a sfruttamento sistematico, costretti a una condizione di precarietà strutturale, ma soprattutto dotarsi di reti e forme organizzate per portare avanti una seria opposizione al DL 1240, può mettere in crisi la disinvoltura con cui questo governo sta stravolgendo il mondo della formazione e della conoscenza.
A rinforzare questa prospettiva, oltre a una chiave di lettura forte e generale sulle trasformazioni in corso, serve anche lavorare alla costruzione di un’alternativa. Non è sufficiente aumentare le risorse, rallentare o frenare la precarizzazione già da tempo eccessiva, ma è ora di costruire un’opposizione a tutto campo contro questo modello universitario e la funzione che esso ricopre nella riconfigurazione delle catene del valore a livello europeo. Pensiamo sia necessario liberare i lavoratori della ricerca dal ricatto della precarietà, disarticolare lo strapotere di baroni, rettori e CdA, svincolare l’università dalla macchina della valutazione amministrativa ANVUR e contemporaneamente affermare la prospettiva di un sistema formativo e di ricerca che sappia produrre medici e non bombe, lavorare per il bene comune e non per il mercato, che di fronte a genocidio e guerre si configuri come un presidio di pace e non di complicità.
Per costruire una tale opposizione serve mettere in campo forme e percorsi di organizzazione e mobilitazione che, lasciandosi alle spalle la via della concertazione e del corporativismo, vedano protagonisti al fianco dei ricercatori e delle ricercatrici tutti i soggetti coinvolti: dal personale TAB ai docenti strutturati, senza dimenticare l’importanza del settore studentesco che nel peggioramento delle proprie prospettive comincia a vedere l’unico futuro possibile – una realtà da ribaltare. È in questa prospettiva che metteremo al lavoro le nostre forze: di fronte all’irriformabilità di questo presente, occorre cambiare l’università e conquistarsi un futuro che non sia fatto di guerra e precarietà!