SETTIMANA STEM: CONTRO L’IPOCRISIA DI CHI STA DISTRUGGENDO LA RICERCA, PER UNA SCIENZA PER I POPOLI E NON PER LE GUERRE.

Dallo scorso anno, su iniziativa del governo, è stata istituita la “Settimana STEM”: dal 4 all’11 Febbraio saranno organizzate iniziative, conferenze, convegni e attività di orientamento sia nelle scuole che nelle università, al fine di incentivare gli studenti a iscriversi ai corsi di studio universitari STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).

L’UE e le università nella competizione internazionale
Come ha affermato da poco il presidente della camera Lorenzo Fontana, la necessità è quella di adattare gli standard scolastici, universitari e di ricerca italiani a quelli europei. “In Italia la media dei laureati nelle materie STEM è del 6,7%, mentre nel resto del continente si attesta tra il 12 e il 13%. […] La mancanza di un numero adeguato di professionisti in questi settori strategici indebolisce le nostre imprese e ciò pregiudica la competitività del sistema produttivo”.
Le direttive quindi vengono ancora dall’Europa. In un mondo in cui la competizione internazionale si inasprisce sempre di più fino a diventare un vero e proprio conflitto economico e militare, l’UE ha la necessità di riorganizzare le proprie filiere produttive intorno a un salto di qualità scientifico e tecnologico per sperare di poter sopravvivere allo strapotere asiatico e nordamericano. Le università sono il cardine di questo processo di ristrutturazione, e la direzione in cui procedere è rappresentata bene dalla missione 4 del PNRR che “mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di un’economia ad alta intensità di conoscenza” corroborando il rapporto tra università e aziende e aumentando la premialità dei sempre più scarsi fondi pubblici. I risultati sono disastrosi: una università elitaria, con enormi disparità regionali e sempre più china a quella parte di classe padronale italiana che vuole diventare campione industriale europeo specie nei settori dell’industria fossile (come ENI o ENEL) o delle armi (Leonardo).
Emancipazione o pinkwashing?
Sempre Fontana aggiunge che “è necessario incentivare il più possibile tra le nuove generazioni la scelta di percorsi formativi a carattere tecnico-scientifico. E mi riferisco in particolare alle studentesse”.
Lo stesso Fontana antiabortista e per cui il ruolo principale delle donne nella società è sfornare più figli possibili per combattere la scarsa natalità, non si fa problemi a condividere la retorica sull’empowerment femminile con la presidente della commissione europea Von der Layen. La morale condivisa è che l’unica emancipazione femminile che questo sistema può accettare è quella di una piccola élite di donne ai vertici della società sulle spalle di una marea di sfruttate sul lavoro e nelle università. Élite che spesso e volentieri vengono arruolate tra le fila delle ricercatrici al servizio dei “campioni europei” produttori di armi, come Thales Alenia Space o Leonardo SpA che in primis portano avanti questa retorica.

Il vero incentivo è finanziare il diritto allo studio
Il problema sollevato dal governo tuttavia è reale. l’Italia è 33-esima nelle classifiche dei paesi OCSE per quanto riguarda le conoscenze scientifiche di base tra i giovani, a distanza di anni luce da tanti paesi asiatici e europei. Il gap tra maschi e femmine nell’apprendimento della matematica si attesta a 21 punti, il peggiore tra tutti i partecipanti alle indagini OCSE.
Invece a pensare ad organizzare settimane di propaganda come questa il governo dovrebbe pensare ad aumentare i fondi a scuola e ricerca mentre taglia 700 milioni di euro dal FFO destinato agli atenei italiani e incentiva il precariato nella ricerca con la riforma Bernini del preruolo.
Distruzione del diritto allo studio, aziendalizzazione delle università e asservimento agli interessi privati e bellici hanno devastato l’alta formazione nel nostro paese anche nei corsi di laurea STEM, dove la grande competizione tra studenti, la necessità di avere computer o attrezzature costose e la richiesta di mantenere alta la produttività, portano a tassi di abbandono elevatissimi (si stima poco meno del 50%). Se si volesse veramente incentivare lo studio delle conoscenze tecniche e scientifiche, queste dovrebbero essere accessibili a tutti e non alle poche persone che se lo “meritano”, ovvero che se lo possono permettere e che sono state selezionate per gli interessi delle aziende.

Liberiamo la scienza dalle aziende belliche: l’esempio di Pisa.
Mentre in Italia la deindustrializzazione è un processo che procede spedito da anni, la nostra classe dirigente, in primis il ministro Crosetto, vede nell’industria bellica enormi possibilità di profitto.
Anche in questo caso le direttive dell’UE sono chiare: è tempo di riarmarsi e lo sviluppo dell’industria bellica non può che partire dalla ricerca nelle università.
La componente 2 della Missione 4 PNRR ha “l’obiettivo di finanziare progetti di ricerca di base per rafforzare le filiere della ricerca a livello nazionale e promuovere la loro partecipazione alle catene di valore strategiche europee e globali”, comprende 14 progetti divisi per tematiche. In ben 6 progetti (finanziati per un totale di 700 milioni e che vanno dall’intelligenza artificiale alla cyber security e telecomunicazioni) è presente almeno un’azienda bellica.
Da poco inoltre sono state ascoltate dalla commissione europea le richieste di 60 grandi industriali riuniti nella European Round Table for Technology. Questi pretendono che i soldi di Horizon 2027 (il più grande dei programmi di finanziamento della ricerca) siano aperti a progetti “dual use” fino ad ora legati unicamente al EDF (European Defense Fund).
Insomma le aziende belliche sembrano avere la strada spianata nei nostri atenei, ma da tempo studenti e lavoratori si stanno organizzando per rompere le collaborazioni con chi produce morte e distruzione e con le istituzioni israeliane complici del genociddio palestinese. Oggi si aggiunge un grande risultato all’Università di Pisa che, sotto le pressioni delle mobilitazioni è stata la prima università italiana a inserire nel suo statuto il rifiuto di partecipare e finanziare progetti o attività “dual use”: un precedente fondamentale che apre una possibilità di rilancio della mobilitazione antimilitarista nelle università.
Nella settimana delle discipline STEM chiediamo agli atenei di tutto il paese di seguire l’esempio di Pisa, respingendo la retorica ipocrita di chi sta distruggendo la ricerca e per muovere un primo passo verso una scienza libera dagli interessi bellici per il progresso di tutti i popoli del mondo.
