L’ARTE PRENDE PARTE: ORGANIZZARSI, IMMAGINARE E COSTRUIRE L’ALTERNATIVA. Alcune riflessioni sulla funzione sociale dell’artista per costruire organizzazione e conflitto nella filiera dell’Alta Formazione Artistica Musicale e coreutica

Costruire organizzazione studentesca nel mondo dell’Alta Formazione Artistica Musicale e coreutica significa fare i conti con lo stato in cui versa attualmente il mondo della cultura e della produzione artistica, a partire dalla consapevolezza, con Lukács, che “l’artista è personalità storica” e il suo prodotto “l’espressione concreta e positiva del momento storico al quale appartiene”. Perciò non è possibile creare organizzazione nel nostro settore prescindendo dall’analisi dei rapporti sociali e, di conseguenza, dall’assunto per cui l’arte è parte integrante dello scontro egemonico tra le classi: basti pensare al ruolo del Futurismo nel consolidamento del regime fascista, così come all’espressionismo astratto americano durante la guerra fredda per l’imposizione dell’immaginario statunitense.

Nella parte di mondo e nella fase storica in cui viviamo oggi, l’arte è ormai piegata alle logiche del profitto e il mondo della cultura perlopiù percepito come una nicchia isolata e apparentemente distaccata dalla realtà. O meglio, questa è la narrazione che vorrebbero far passare nelle Accademie che ogni giorno frequentiamo. La verità è che nella polarizzazione sempre più forte tra l’arte come aspirazione altissima e spirituale per i salotti della borghesia e le espressioni culturali mainstream e “pop” si è persa totalmente la consapevolezza della funzione sociale e collettiva del processo artistico.

Il declino culturale della “nostra” parte di mondo non è altro che il prodotto dell’attuale profonda crisi del capitalismo occidentale che, dopo la caduta del muro di Berlino, ha voluto presentarsi come unico – possibile – sistema sociale, economico e culturale ma si ritrova ora in macerie di fronte alle sue stesse contraddizioni. Quella che abbiamo davanti è la crisi di egemonia della borghesia che conduce ad una crisi di civilizzazione con risvolti finanche anti-culturali e anti-artistici, unita alla tendenza strutturale del capitalismo di trasformare tutto in merce, compresi gli elementi “spirituali” dell’umanità.

L’arte si fa mercato

Un aspetto fondamentale circa il rapporto tra arte e società riguarda la messa a valore delle produzioni artistiche cresciuta di pari passo con lo sviluppo dell’industria e che, nell’attuale fase di sviluppo capitalista, rappresenta ormai una fetta di investimento ben consolidata nel mercato. Si pensi alle star dell’arte contemporanea, i vari Jeff Koons al soldo di gigantesche gallerie, alle kermesse esclusive e alle fiere dell’arte (nient’altro che immensi mercati) internazionali fino ai processi di turistificazione massiccia del patrimonio culturale come avviene da anni nelle capitali d’arte del nostro Paese.

L’arte si fa mercato e le conseguenze sul futuro di noi studenti dell’AFAM sono pesantissime: un artista contemporaneo per essere considerato tale deve avere un valore di mercato e un’opera viene riconosciuta come tale solamente se è venduta, esposta, quotata e integrata all’interno del mercato artistico e culturale. Fuori dalla messa a valore all’interno dell’industria artistica, sembrerebbe quasi che l’opera perda la sua dignità e al tempo stesso prolificano artisti che hanno fatto del solo potenziale di vendita il punto centrale della propria produzione.

L’aziendalizzazione e la privatizzazione dell’industria culturale (tanto artistica quanto musicale) ha anche un ulteriore risvolto della medaglia: la sempre maggiore deregolamentazione di questa fetta di mondo del lavoro e la totale precarizzazione dei lavoratori. Sia che si parli di lavoratori museali, che di curatori musicali e artistici, assistiamo a un sempre maggior smantellamento dei diritti di chi opera in questo ambito: lavori a “grigio”, se non addirittura a nero, precari e mal retribuiti che per la nostra generazione significano tirocini infiniti, stage gratuiti sotto promessa di assunzione, contratti a chiamata e così via.

Un altro aspetto riguarda il progresso tecnologico: l’introduzione di una serie di strumenti, tra cui soprattutto Internet e i social network, avrebbe potuto generare un fiorire di espressioni, creazioni e dibattiti e quindi una democratizzazione delle conoscenze in campo culturale e artistico. Invece, quello che abbiamo di fronte agli occhi non è altro che concentrazione delle proprietà artistiche nelle mani di pochi e l’uso dell’arte e della cultura in senso consumista da parte delle masse.

Ancor più complesso è il tema dell’introduzione dell’intelligenza artificiale che sarà sempre più utilizzata dalle aziende per tagliare fuori dal mercato del lavoro (e dai loro costi!) grafici, artisti, musicisti o compositori, oltre a mettere seriamente in discussione il ruolo dell’artista e la funzione dell’opera d’arte data la sua enorme capacità generativa di prodotti gratuiti e prodotti just-in-time.

L’arte come campo di battaglia politica

L’arte può essere strumento nelle mani del Capitale per il consolidamento della sua egemonia ma può diventare anche strumento di opposizione, di critica al modello e di costruzione di un immaginario di alternativa economica, sociale, culturale. E’ la storia che ce lo dimostra.

Tanti sono gli esempi di chi ha fatto della creatività e dell’espressione artistica e culturale uno strumento per denunciare le ingiustizie del proprio tempo, per via di un sussulto quantomeno etico: gli esempi possono essere tantissimi dalla Guernica di Picasso ai dadaisti ed espressionisti tedeschi con le loro posizioni antimilitariste e antinaziste, dai numerosi artisti rock in prima fila dagli anni ‘60 contro la Guerra in Vietnam ai più recenti esempi di artisti della street art come Basquiat, Keith Haring e Banksy. C’è chi invece ha fatto dell’arte uno strumento di battaglia culturale per il socialismo e la costruzione di un’alternativa, come dimostra l’esempio dell’arte nell’Unione Sovietica con personalità come Majakovskij.

E infine ci sono le culture e le espressioni artistiche dei popoli, che sono qualcosa di diverso dalla cultura popolare: stiamo infatti parlando, come afferma Luciano Vasapollo, “della cultura di resistenza dei popoli, la resistenza con le proprie tradizioni, con le proprie espressioni, comprese le danze” che in alcuni contesti, vedi quello della Dakba palestinese, sono diventate il simbolo della lotta per l’autodeterminazione e la liberazione dal giogo dell’imperialismo e del colonialismo.

Oggi la favola occidentale del capitalismo come “migliore dei mondi possibili” scricchiola di fronte alla realtà concreta fatta di guerre, crisi sociale e disastri ambientali. L’arte può e deve avere una funzione reale nella costruzione di un’alternativa, aldilà della soladenuncia della violenza estrema del sistema. Sono evidenti le crepe nell’ideologia dominante e i tentativi disperati di metterci una toppa, come dimostrano la censura di chi denuncia il genocidio in corso in Palestina, l’esclusione da rassegne internazionali di artisti di paesi non allineati con l’Unione Europea e la NATO, mostre ed esibizioni interamente stabilite e costruite dal Governo per rafforzare il consenso alle politiche guerrafondaie e reazionarie come l’ultimo caso della mostra Futurista alla GNAM di Roma.

Per questo, anche il mondo dell’arte e della cultura sono oggi dei campi di battaglia politica che non possiamo più lasciare nelle mani del nemico.

L’arte prende parte: organizzarsi nell’AFAM

Nel contesto sopra descritto si inserisce il percorso di formazione dai Licei Artistici all’Alta Formazione Artistica, Musicale e coreutica delle Accademie e i Conservatori in cui studiamo. Sbarrati da rigidissimi test di ingresso e da obblighi di frequenza che lasciano poco spazio a chi non ha le possibilità economiche di essere studente a tempo pieno, questi Istituti sono soggetti ad una selezione di classesfrenata. L’AFAM si trasforma così sempre di più in un laboratorio in cui formare e selezionare i pochi studenti prodigio spendibili sul mercato (e sottomessi ad esso) mentre la maggior parte di noi diventerà disoccupata o precaria e disponibile ad accettare qualunque forma di sfruttamento.

In questa direzione si muove anche l’ultima riforma dell’AFAM della Ministra Bernini che mira a raggiungere una maggiore competitività a livello internazionale nel nome della retorica dell’Italia “Capitale di arte e cultura”.

Gli stessi insegnamenti all’interno del comparto vengono sempre più piegati alle esigenze del mercato e del Capitale, prediligendo gli indirizzi multimediali, la progettazione artistica per l’impresa e le soft skills, e abbracciando una narrazione di finta neutralità dell’arte e della storia dell’arte stessa.

Nel frattempo però vengono tagliati i fondi per le strutture, la didattica, gli spazi, i laboratori e i materiali a disposizione, così come per il diritto allo studio. Affrontare i costi del percorso di formazione artistica è in molti casi infatti molto dispendioso: oltre alle spese di tasse, affitto, trasporti si aggiungono le pesanti spese per i materiali didattici tra i manuali e gli strumenti tecnici.

All’interno di questo scenario, come giovani e studenti AFAM vogliamo che i percorsi di formazione nelle Accademie, nei Conservatori e negli Istituti siano di qualità e accessibili a tutti.

Ma vogliamo anche rivendicare un’arte che non solo “prenda parte’’, ma che si schieri dalla parte giusta della Storia, costruendo alleanze sociali con chi, come noi, si batte contro lo sfruttamento e per la costruzione di un’alternativa.

L’arte può tornare ad essere un campo di battaglia politica: di fronte alla crisi sociale, alle guerre e il genocidio, alla devastazione ambientale, all’imbarbarimento e l’individualismo generalizzato verso cui i valori reazionari dell’individualismo e della competizione non stiamo in silenzio, organizziamoci!