Taglio sulle tasse universitarie, chi offre di meno?
Ci piacerebbe essere sempre in campagna elettorale, per sentirci dire ogni giorno da quelli che ci stanno distruggendo la vita privatizzando, alzando i costi dei servizi pubblici, aumentando le tasse e riducendo i salari, che ci toglieranno questa o quell’altra gabella.
Ultimo in ordine di apparizione, Piero Grasso: “aboliremo le tasse universitarie”. Evviva! I movimenti studenteschi e universitari sono solo decenni che lo chiedono. Ma non soltanto nei periodi elettorali. Per cui le belle parole del presidente del Senato (tutt’ora in carica) in verità non appaiono vicino tanto alle rivendicazioni degli studenti, quanto alle altrettanto belle parole dei suoi colleghi-competitori: la recente abolizione del canone RAI proposta da Renzi (dopo averlo nascosto nella bolletta della luce), ma anche la storica abolizione della tassa sulla prima casa di Berlusconi.
Abbiamo imparato che i “bravi” politici in campagna elettorale promettono tante cose, una delle più facili per acchiappare qualche voto è l’abolizione di una tassa.
È evidente dove vuole pescare Grasso, dopo che pochi giorni fa un preoccupante articolo de La Stampa prevedeva un astensionismo fra i giovani del 70% per le prossime elezioni. Ma si faranno abbindolare questi giovani da un attempato signore, che entrato in politica non troppi anni fa già si dimostra un volpone, sostenendo per cinque anni un partito e un governo disastroso per la condizione studentesca e lavorativa di milioni di ragazzi e ragazze, per uscirne un attimo prima dello schianto finale, e soltanto dopo essersi assicurato un notevole ruolo nella nuova formazione della sinistra compatibilista?
Grasso insieme alla dirigenza di Liberi e Uguali (senza fare troppo inutile e politicistiche differenze fra chi la compone) sono pienamente e politicamente responsabili della precarizzazione istituzionalizzata del Jobs Act e dei voucher e della devastazione dell’istruzione con la “Buona Scuola” e con l’incredibile inserimento dell’Alternanza Scuola-Lavoro. Da parlamentari che hanno votato tutto questo, da un presidente del Senato che ha accettato il maggior numero di voti di fiducia di qualunque altra legislatura (cosa che, anche se molto meno, quando la faceva Berlusconi, un giorno sì e un giorno no la Repubblica parlava di regime), possiamo credere veramente a questa sparata?
Anni di lotte, analisi e proposte sull’università passati sotto silenzio, e poi tutta la voce viene data a un signore che non sa nemmeno di quello che parla. Ma Grasso e LeU accettano lo smantellamento delle università del sud, rafforzato tra l’altro dall’ANVUR? Sanno che finanziare la gratuità dell’università (che secondo noi sarebbe inutile senza un reale finanziamento economico diretto ai figli delle famiglie meno abbienti) dovrebbero andare a cercare le tasse ai ricchi e si dovrebbero scontrare con i vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea? Sanno che bisogna rilanciare università e ricerca stabilizzando i precari? Sanno che senza un vero potenziamento delle università insieme a un piano serio per il lavoro, l’abolizione del Jobs Act e il ritorno a un articolo 18 pieno (e non come propongono loro, comunque senza nessuna credibilità, a un’altra forma di “tutele crescenti”) le università italiane rimarranno dei parcheggi per giovani in attesa di diventare disoccupati, mentre quelli che se lo potranno permettere continueranno a emigrare per andare nelle università di serie A in Germania o negli altri paesi del nord Europa?
Ma immaginiamo che una cosa Grasso e LeU la impareranno presto, più o meno intorno al 4 marzo: le proposte giuste devono essere fatte da personaggi credibili in percorsi che non sono in totale palese e contraddizione con quello che si è fatto fino a cinque minuti prima. Perché saremo pure choosy, bamboccioni e non sapremo giocare bene a calcetto, ma di dieci anni di crisi e disoccupazione non ne possiamo più, e da una situazione del genere ci vuole ben più che una ruffianata elettorale per tirarcene fuori.
Per una cosa del genere, prima di tutto, va dato tutto il Potere al Popolo.