Tasse universitarie. Se nessuno ci ascolta, organizziamoci per bloccarle!

Assemblea nazionale telematica, domenica 17 maggio, ore 17.00, Piattaforma zoom: https://us02web.zoom.us/j/88290323748

La fase due è iniziata ma ai posti di partenza qualcuno non si è mai presentato. Il grande assente è infatti il Ministro dell’Università e Ricerca, Manfredi che, proprio nelle ultime ore tenta di recuperare annunciando un minimo di investimenti per il prossimo anno lasciando ancora sole decine di migliaia di studenti di fronte all’emergenza.

Dichiarazioni, titoli sui giornali, questo è quello che riceviamo mentre lo stesso Ministero dell’Università e della Ricerca prevede che l’impoverimento delle famiglie avrà forti ripercussioni sul futuro degli atenei: ovvero un calo delle iscrizioni e un abbandono della carriera universitaria anche superiore a quel 20% che si era verificato con la crisi del 2008.

L’abbandono scolastico è un problema con cui da anni dobbiamo fare i conti: le difficoltà economiche in cui si trovano sempre più famiglie unite all’assenza di tutele e alle tasse universitarie altissime impediscono l’accesso all’istruzione superiore a milioni di studenti.

Il virus non è una parentesi nella normalità, ma un terremoto che evidenzia i problemi strutturali di un sistema universitario fondato sulla riproduzione delle disuguaglianze presenti nella società e sull’esclusione sociale. Adesso, con la scadenza del pagamento dell’ultima rata delle tasse universitarie che si avvicina questo diventa ancora più palese. Nell’emergenza che stiamo vivendo, molti studenti e le loro famiglie hanno perso il lavoro e sono escluse dalle pochissime tutele che il governo ha dato alle fasce più deboli della popolazione. L’ultima rata, inoltre, è quella più alta per chi non ha un ISEE rientrante nelle prime fasce e non beneficia di borse di studio ed è quella che aumenta per i fuori corso, arrivando in alcuni casi fino ai 2500 euro.

All’inizio della quarantena, con il Decreto Cura Italia l’unica misura messa in atto dal governo è stata quella di posticipare la scadenza del pagamento della tassa a fine maggio/inizio giugno, ma sappiamo benissimo che è stata una misura completamente insufficiente.

L’ipotesi di rateizzare la terza rata, paventata in questi giorni da alcuni atenei, elude in realtà i problemi di studenti, ricercatori e dottorandi, che come ora non hanno la possibilità di pagare le tasse, gli affitti e le spese correnti, così non lo potranno fare tra qualche mese, in un futuro che si prospetta senza tutele e con una disoccupazione ancora maggiore rispetto al prima della pandemia. Inoltre, posticipare una parte della rata a dopo l’estate significherebbe sommarla alla tassa di iscrizione arrivando a cifre esorbitanti da pagare in pochi mesi.

Occorre una soluzione di più lunga durata che non neghi agli studenti il diritto all’istruzione: la vera “manovra coraggiosa’’, non è rateizzare, ma abolire la terza rata dell’università e le tasse relative al prossimo anno accademico, perché se la ripresa ha tempi lunghi, anche le misure di sostegno devono guardare lontano e soprattutto non escludere nessuno.

Il cavallo di battaglia del Ministro Manfredi alla fine di gennaio, e addirittura appoggiato ora da alcune organizzazioni delle rappresentanze studentesche, riguarda l’ampliamento della “no tax area” (oltretutto si parla di ampliamenti di pochissimo che taglierebbero fuori la maggior parte degli studenti). Spieghiamo brevemente cos’è la “no tax area”: una soglia di reddito entro la quale non bisogna pagare le tasse. Quasi tutte le università attuano questa soglia ma il suo uso e le norme che ne regolano l’erogazione sulla base della soglia ISEE, sono delegati alle scelte e alle condizioni dei singoli atenei. Volendo fare un esempio, un ateneo di serie A con un cospicuo avanzo di bilancio, può permettersi una soglia ISEE piuttosto alta, facilitando così l’accesso di più studenti e incrementando i propri iscritti; viceversa gli atenei di serie B, con soglie decisamente più misere, escludono una fascia studentesca maggiore e, anno dopo anno, insieme ai loro bilanci si svuotano anche le aule, come vediamo verificarsi da tempo nelle università del Meridione.

Di conseguenza, o si cambiano le condizioni di partenza che rendono quelle università più svantaggiate o anche tramite la “no tax area” le disuguaglianze andranno ad aumentare.

Se c’è qualcosa che ci ha insegnato questo virus è che i meccanismi premiali e la competizione non sono la soluzione ma parte del problema. Anzi, diventa sempre più evidente che in tutti i settori, dalla sanità, all’economia, alla formazione, lo Stato deve tornare ad avere un ruolo centrale come garante del benessere, della salute e dell’accesso alla conoscenza per tutti. Un ruolo abdicato e mutilato negli anni dagli enormi tagli fatti in nome dell’austerità e delegato al presunto “virtuosismo’’ (leggere vantaggi economici di partenza) di regioni e atenei tramite le sempre maggiori autonomie.

La risposta alla crisi non può più essere “i fondi non ci sono, si salvi chi può’’, cioè chi può permetterselo.

Per questo pretendiamo lo stanziamento di fondi pubblici per tutti gli atenei, distribuiti in modo da garantire il diritto allo studio a tutte e tutti, indipendentemente dall’ateneo a cui si è iscritti. Finanziamenti pubblici che possano porre le basi per un cambiamento radicale di un sistema universitario basato sulla competizione tra atenei e che impediscano che questa crisi venga fatta pagare, ancora una volta, a noi studenti.

Vogliamo invertire la tendenza che l’Università ha avuto fino ad oggi nel nostro paese: l’Università non è un’azienda che vende una merce, la conoscenza (anzi, nozioni sempre più sterili con l’introduzione della didattica a distanza), ma deve essere un diritto accessibile a tutti.

Non vogliamo accettare rivendicazioni al ribasso o parziali che non risolvono i nostri veri problemi.

Vogliamo la completa abolizione della terza rata e delle rate di tutto il prossimo anno accademico.

E non ci fermeremo finché non avremo raggiunto questo obiettivo.