NUCLEARE IERI E OGGI [INTERVISTA]

In avvicinamento alla mobilitazione di domenica 22 alla centrale nucleare di Caorso abbiamo rivolto qualche domande a Aldo Romaro, militante della Rete dei Comunisti che prese parte alle lotte contro il nucleare civile e militare negli anni ’80.

Ci troviamo in una situazione in cui il nucleare viene nuovamente riproposto a diversi livelli, in Unione Europea: partendo dalla famosa tassonomia verde, volta a tutelare gli interessi della Francia in questo frangente; passando per le dichiarazioni dei ministri nostrani, che non sanno a cosa ricorrere pur di dichiarare di avere in mano la soluzione al cambiamento climatico o al problema dell’indipendenza energetica; fino ad arrivare al rinnovato interesse da parte anche di aziende private nel settore. Eppure si pensava che in Italia i ben 2 referendum avessero in qualche modo chiuso l’argomento ormai 10 anni fa. Ci ricordi com’era andata?

L’argomento del nucleare non sarà mai chiuso definitivamente fin tanto che avremo la sfortuna di vivere in un mondo dominato dal capitalismo e dall’imperialismo.

Il cosiddetto nucleare “civile” è un sottoprodotto del nucleare militare e il suo sviluppo facilita la produzione di armamenti atomici. Se così non fosse non si capirebbe perché nel 1981 l’entità sionista abbia bombardato la centrale nucleare di Tamūz, in Iraq, giudicandola un pericolo per la propria sicurezza e in tempi più recenti la decisione dell’Iran di costruire una propria centrale nucleare abbia portato a pesantissime sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Per questo il nucleare “civile” è strategico per ogni borghesia che abbia velleità di potenza.

D’altra parte è importante ricordare la dimensione enorme raggiunta dall’opposizione al nucleare in Italia come dimostra la partecipazione ai due referendum, quello del 1987 e quello del 2011.

Nel 1987 parteciparono al voto il 65% degli aventi diritto e di questi l’80% votò contro il nucleare: il 52% dell’intero corpo elettorale, pari a quasi 24 milioni di persone

Nel 2011 parteciparono al voto il 54,8% degli aventi diritto e di questi il 94% votò contro il nucleare. Ancora una volta sono oltre il 51% del totale degli elettori, 25 milioni e mezzo di persone.

Questa mobilitazione di massa contro il nucleare è stata frutto  di decenni di lotte.

Per prima cosa dobbiamo ricordare i “Partigiani della pace”, movimento costituito nel 1949 da duemila delegati provenienti da 72 paesi diversi tra cui Picasso, Aragon, Farge, Amado, Matisse, Ehrenburg, Neruda ed Einstein e per l’Italia, Pietro Nenni, Vittorini, Guttuso, Quasimodo, Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi.

Nel 1950 questo movimento raccolse 519 milioni di firme per la messa al bando delle armi atomiche. L’anno prima la sezione italiana, nonostante il divieto di raccogliere firme in luoghi pubblici, aveva raccolto oltre sei milioni di firme contro l’ingresso dell’Italia nella NATO.

Poi va ricordata sicuramente l’opposizione della popolazione dei territori in cui sono sorte o avrebbero dovuto sorgere le centrali.

Le prime contestazioni di massa furono nel Paese Basco a Lemoniz, dove nel 1972 il governo spagnolo pianificò la costruzione di due reattori nucleari, suscitando la reazione della popolazione e un crescendo di iniziative che portarono nel 1984 alla sospensione definitiva del progetto.

In Italia le prime tre centrali erano entrate in funzione a Latina nel 1962, sul Garigliano e a Trino Vercellese nel 1964, tutte costruite sull’onda della crisi di Suez (1956) che per la prima volta nel dopoguerra aveva evidenziato la fragilità dell’approvvigionamento energetico dei paesi occidentali.

Fino alla fine degli anni ’70 non sono ricordate mobilitazioni contro queste centrali, ma questo perché per anni era stata tenuta nascosta ogni informazione  relativa a problemi e criticità

Ad esempio per quanto riguarda Trino solo nel luglio del 1976 nel Notiziario del CNEN n°7  si scrive che ben che nove anni prima, nel 1967, “In occasione della prima fermata per ricarica del combustibile vennero riscontrati estesi danneggiamenti alle strutture di sostegno del nocciolo del reattore. Oltre allo spostamento dello schermo termico, si riscontrò la rottura di quasi il 50% dei bulloni di collegamento tra la parte inferiore e quella superiore del cilindro disostegno del nocciolo, la rottura del 70% dei tiranti nella zona inferiore della struttura e la distruzione quasi completa del sistema interno di misura del flusso neutronico (aero-ball system).”

Nel 1977 il settimanale Epoca scriveva che “la centrale atomica di

Trino Vercellese […] è stata ferma per incidenti 998 giorni fra il 1967 e il 1970: per buona parte di questo tempo ha scaricato nelle acque del fiume trizio radioattivo”.

Quindi dalla fine degli anni settanta del secolo scorso Trino vercellese, Caorso, Montalto di Castro hanno visto  numerosissime manifestazioni, alcune delle quali represse in modo pesantissimo dalla polizia, come ad esempio quella a Montalto il 9 dicembre 1986.

La terza cosa da ricordare è lo sviluppo di una critica radicale della concezione di “progresso”.

Il modo di produzione capitalista è un processo contraddittorio che produce un innegabile progresso  ma a costo di sfruttamento, mercificazione delle vite, distruzione dell’ambiente.

Negli anni della ricostruzione post-bellica i benefici erano generalmente giudicati tali da giustificare gli effetti negativi.

Ma ad un certo punto, con l’aumento dell’istruzione e della consapevolezza di massa, con la critica al consumismo e con la messa in discussione della pretesa capitalista di una crescita infinita, il giudizio cominciò ad essere ribaltato e i disastri ambientali come quello di Seveso il 10 luglio del 1976 furono occasione di ulteriore presa di coscienza.

Il quarto fattore che ha contribuito a quei risultati referendari sono stati i grandi incidenti alle centrali nucleari, quelli che non potevano essere nascosti come invece è stato fatto per decine di incidenti “minori”.

Three Miles Island, in Pennsylvania, dove il 28 marzo 1979 avvenne una parziale fusione del nocciolo;  Chernobyl il 26 aprile 1986 la cui nube radioattiva raggiunse l’Irlanda e che influenzò senza dubbio il referendum dell’anno seguente; infine Fukushima il 12 marzo 2011, che pesò sul voto al referendum che si tenne tre mesi dopo.

Accennavamo alla retorica secondo cui il nucleare potrebbe essere una delle soluzioni in questo frangente di crisi energetica, allo stesso modo in cui venne presentato durante lo shock petrolifero degli anni ‘70 (non per niente a quel periodo risale la maggior parte delle centrali francesi). Cos’è cambiato da allora?

Anche in Italia si approfittò della cosiddetta “crisi energetica” del 1973 per giustificare il nuovo Piano Energetico Nazionale che prevedeva la costruzione di 20 nuovi reattori nucleari, che dovevano aggiungersi ai tre già in funzione

Di queste venti venne però costruita solo quella di Caorso che entrò in funzione nel 1981.

Già il fatto che ci siano voluti otto anni per far entrare in un funzione una centrale ci dice chiaramente che giustificare l’adozione del nucleare per fronteggiare una emergenza, è una sciocchezza colossale.

Negli anni ’70 del secolo scorso come anche oggi non è la crisi energetica che impone il rilancio del nucleare ma la crisi politica, la crisi del comando imperialista.

Non è un caso che proprio a metà degli anni 70 dopo la sconfitta in Vietnam gli USA decidessero di farsi affiancare dalle altre potenze occidentali creando il sistema dei vertici (G5, poi G7) e mettendo in campo quell’escalation militare che tra dispiegamento di missili in Europa (in Italia a Comiso) e “guerre stellari” contribui non poco alla crisi del campo sovietico.

Una situazione molto simile a quella di oggi con cui si vorrebbe mettere in crisi le potenze emergenti della Russia e della Cina.

A questo serve il rilancio nucleare!

La retorica nuclearista negli anni è cambiata, e con la sensibilizzazione dell’opinione pubblica al tema ambientale si è spostata su temi come il contributo che il nucleare potrebbe dare all’azzeramento delle emissioni climalteranti. Come dicevamo, quest’idea viene avvalorata dal tentativo di inserire la fissione nucleare nel novero delle energie sostenibili. Cosa pensi di questo tipo di narrazione?

Si certo, così come nella neolingua di Orwell “la guerra è pace”  allo stesso modo si può affermare anche che “il nucleare è verde”. Ma si tratta solo di una campagna di disinformazione finalizzata al rilancio del nucleare, civile e militare.

Gli argomenti sono quelli di sempre. I reattori delle generazioni precedenti non erano perfetti, quelli della prossima generazione saranno assolutamente privi di difetti. Sono solo campagne pubblicitarie prive di alcun riscontro concreto.

Oggi si vorrebbe far credere che i reattori della quarta generazione siano appunto perfetti e non presentino alcuna criticità.

Peccato che la caratteristica principale di questi reattori sia quella di non esistere! Sono solo progetti, esistono solo sulla carta!

Tutt’oggi vediamo che “a sinistra” la situazione risulta per molti spinosa da trattare: tra chi appoggia la transizione europea e chi invece ha creato una corrispondenza biunivoca tra industria nucleare ed economia pianificata. Quest’ultima considerazione, in particolare, pesò sul giudizio che all’epoca il PCI aveva rispetto all’utilizzo di questa fonte?

Non solo nel PCI ma un po’ in tutta la sinistra era diffusa la convinzione che una volta che ,con la rivoluzione o con le riforme, il proletariato fosse riuscito a prendere possesso della “stanza dei bottoni” tutte le storture dello sviluppo, tra cui quelle relative alla sicurezza dei lavoratori e alla salvaguardia dell’ambiente, avrebbero potuto essere superate.

Chernobyl fu sicuramente un duro colpo a questa convinzione. Ma anche prima di Chernobyl in moltissimi era maturata la convinzione che alcune tecnologie come la fissione nucleare non possono per definizione essere messe sotto controllo e che i vantaggi che possono portare sono sempre e comunque minori dei disastri che possono provocare.

Per quanto riguarda il PCI valgono però anche altre considerazioni. Negli anni ottanta del secolo scorso la mutazione genetica del PCI da partito revisionista a partito liberista era già ad uno stadio avanzato. E le ragioni per cui questo partito appoggiava il nucleare, così come per altro anche la CGIL, più che riguardare la possibilità di liberare l’uomo dal lavoro, riguardavano invece la possibilità di massimizzare la produttività, cioè l’estorsione di plusvalore.

E anche per quanto riguardava il rischio di una escalation dell’armamento nucleare, dal 1976 il PCI attraverso il suo segretario Berlinguer, aveva dichiarato di “sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della NATO” anche se quell’ “ombrello” era fatto di missili balistici con testata nucleare.

Va anche detto che dopo Chernobyl il PCI anche se aveva appena approvato nel suo congresso la scelta nucleare decise opportunisticamente di appoggiare il referendum, e pagò questo andamento ondivago con un approfondimento della sua crisi interna che lo avrebbe portato a trasformarsi in Partito Democratico (della sinistra) di lì a pochi anni.