Zamboni 36: un cortocircuito ad alta tensione
Come abbiamo evidenziato nelle assemblee di queste settimane di fermento in Università, la mobilitazione scaturita da un apparente problema minore ha assunto da subito una valenza generale, nella quale si sono incanalate la rabbia e la frustrazione di una generazione che forse non ha risposte, ma che comincia a porsi delle domande.
Adesso crediamo sia fondamentale sapersi assumere, come movimento, la responsabilità di collocare politicamente il significato simbolico dei tornelli all’interno di un processo generale di ristrutturazione che sta vivendo l’Università – in Italia come in Europa – e comprendere a quale logica corrisponda questo becero tentativo di normalizzazione degli spazi, individuare responsabili e nemici, sapersi dare nuovi obbiettivi.
In poche parole dobbiamo essere capaci non solo di vincere la lotta per un 36 libero, ma anche di passare noi all’attacco.
Considerando la situazione di alcune settimane fa, può sembrare incredibile che l’installazione dei tornelli al fine di controllare l’accesso alla biblioteca del 36, ed il successivo ingresso della celere in università, abbiano dato vita ad un movimento la cui estensione e partecipazione non si vedevano, in ambito universitario, dai tempi dell’Onda.
Tuttavia, per comprendere pienamente la funzione della limitazione all’accesso alla biblioteca, e la determinata risposta di una parte rilevante della comunità studentesca, è necessario comprendere la portata simbolica del tornello.
I tornelli, infatti, non hanno solo a che vedere con l’accesso alla biblioteca, ma rappresentano una determinata concezione dell’università e, di conseguenza, dello studente, del momento formativo e dell’immaginario ad esso collegato.
Il tornello non è solo un dispositivo securitario di controllo, che permette di monitorare l’ingresso alla biblioteca, identificando chi vi accede. Il tornello funge da barriera, quale strumento di separazione di un mondo, quello accademico, dal contesto in cui questo è collocato, ossia piazza verdi, da sempre luogo di incontro, socialità, produzione culturale: il tornello interrompe la commistione e la connessione del mondo universitario e dei suoi soggetti con il tessuto urbano, i suoi problemi e le sue lotte.
Oltre all’aspetto securitario, l’installazione del tornello (per di più in un luogo anomalo quale il 36) ridefinisce l’idea di biblioteca, delle attività che vi si svolgono e dei suoi frequentatori.
I tornelli all’entrata si contrappongono all’idea di biblioteca quale luogo di studio e apprendimento di un sapere critico che permette di interrogare il presente e comprenderne le dinamiche, quale luogo di incontro, di confronto, di socialità, di condivisione dei saperi non solo tra studenti, ma anche con soggetti esterni. I tornelli si contrappongono ad un’università aperta, che grazie alla connessione con il tessuto sociale è (stata) una straordinaria fucina di sapere critico, di pensiero alternativo che stravolge gli schemi precostituiti e cerca di fornire interpretazioni approfondite del reale; un’università che, proprio perché concentrata sull’analisi delle dinamiche del presente, può e deve essere attraversata anche da chi non vi sia iscritto.
Il tornello invece, simbolo di un contesto assiologico produttivista, elitario ed escludente, rappresenta e rafforza un’idea diametralmente opposta: l’università come luogo in cui apprendere nozioni utili solamente al fine di trovare un lavoro, la biblioteca quale luogo di studio nozionistico, dove i contatti con gli altri studenti si trasformano in rapporti tra colleghi e dove l’obiettivo diviene solamente il superamento dell’esame con il migliore voto possibile, poiché il momento della valutazione svolge un ruolo determinante nella procedura di selezione di coloro che saranno i più competenti ed appetibili sul mercato. Secondo tale prospettiva, se ciò che viene insegnato e studiato sono solo nozioni spendibili nel contesto lavorativo, la cui acquisizione è certificata dal conseguimento della laurea o di un master, nessun esterno può avere interesse a frequentare una lezione od una conferenza.
Il tornello rappresenta un’università asettica e funzionale alle esigenze delle imprese, del tutto chiusa rispetto al contesto sociale circostante, estranea alle dinamiche dei territori.
Il tornello impone la privatizzazione di uno spazio, prima pubblico e libero, ed ora accessibile solamente per chi abbia uno scopo funzionale.
Ancora, il tornello raffigura l’esclusività dell’accesso alla biblioteca e, di conseguenza, alla conoscenza, che viene riservato solamente a coloro che possono pagare un’esosa retta annuale. Da questo punto di vista, il tornello funge quale barriera tra coloro che hanno i mezzi per accedere alla formazione universitaria e coloro che invece non li hanno: il tornello riproduce la barriera di classe che separa coloro che possono ambire ad una possibilità in un mondo dove domina la logica concorrenziale e coloro che, invece, hanno già perso in partenza. Vi è una saldatura metaforica tra il tornello ed altre barriere – non fisiche, ma economiche e, quindi, di classe – quali l’introduzione del numero chiuso per svariati corsi universitari, o l’aumento esponenziale delle rette.
Questa concezione dell’università e della conoscenza comportano altresì una determinata visione dello studente. Lo studente non è più soggetto attivo che partecipa ad uno scambio costante con coloro con cui interagisce, inserito in un contesto sociale plurale e diversificato, ma è soggetto passivo, che consuma un determinato prodotto (la formazione universitaria) funzionale al successo nella competizione del mondo del lavoro. Lo studente diventa consumatore, la formazione e la conoscenza non attengono più alla sfera dei bisogni e dei diritti, ma sono considerate come servizi.
Tramite la ricezione acritica dei contenuti che gli vengono proposti, lo studente deve interiorizzarne la logica ed accettare con entusiasmo un mondo che gli viene presentato come il migliore di quelli possibili. Lo studente diviene soggetto plasmato e funzionalizzato rispetto alla razionalità neoliberale, abituato a pensare nei termini imprenditoriali di costi e benefici, mosso dal criterio valutativo dell’utile. Questa concezione dell’università, del soggetto che la frequenta e dei saperi che essa produce è volta a disciplinare e funzionalizzare la conoscenza rispetto alle esigenze imprenditoriali.
Tale progettualità si rafforza tramite la narrazione di un futuro pieno di possibilità da cogliere per i meritevoli che sappiano mettersi in gioco in un mondo pieno di sfide e che sappiano realizzarsi nel perseguimento di obiettivi eteroimposti, ma perfettamente interiorizzati. La biblioteca sbarrata da un tornello trasforma il momento dello studio, imponendo una concezione produttivista, secondo la quale occorre dare tutte le proprie energie al fine di primeggiare al momento dell’esame: sin dal momento della formazione lo studente viene abituato all’accettazione acritica del presente, della sua naturalità ontologica e della logica dei sacrifici necessari al successo, faro dell’universo desiderante e simbolo di realizzazione personale.
È per questi motivi che il tornello non è soltanto una noiosa porta da aprire con un tesserino, ma porta con sé una visione dell’accademia e dei soggetti che la frequentano fondamentali per il progetto di ristrutturazione neoliberale ed al quale occorre opporsi con ogni mezzo, portando un’analisi, una visione ed una progettualità politiche che siano all’altezza della sfida.
I tornelli vanno divelti, ma è altresì necessario combattere frontalmente l’universo che due porte di vetro si portano dietro: è il mondo che essi rappresentano che va abbattuto dalle fondamenta, e con esso anche la concezione dell’università e dello studente che gli sono proprie.