Formazione, Ricerca e Controriforme: convegno nazionale

FORMAZIONE, RICERCA E CONTRORIFORME

CONVEGNO NAZIONALE PROMOSSO DALLA RETE DEI COMUNISTI

30 APRILE, DALLE 10 ALLE 17

SALA CONSILIARE GIARDINI FRANCESCO LORUSSO

VIA DELLO SCALO 21

BOLOGNA

ConvegnoFormazione

Disoccupazione strutturale, precarietà esistenziale, mancanza di riferimenti con cui interpretare il presente: sono solo alcuni dei problemi cui devono far fronte i giovani d’oggi, e una propaganda martellante suggerisce che l’emigrazione sia l’unica alternativa.

Contemporaneamente la crisi sistemica, che da decenni affligge il capitalismo a livello globale e che alle nostre latitudini si contraddistingue con la mezzogiornificazione dell’intera area mediterranea in favore del centro produttivo europeo, viene gestita da molto tempo anche attraverso la ridefinizione del comparto della formazione, a qualunque ordine e grado. D’altronde il ruolo a cui è candidata l’Italia nell’attuale scenario continentale non poteva non palesarsi anche tramite la ridefinizione di un modello educativo ormai buono solo per essere ricordato in qualche foto sbiadita. Chi si pone obiettivi di cambiamento sociale non può prescindere dalla comprensione di quanto si muove anche in questo universo.

Per affrontare questi temi invitiamo coloro che si distinguono per portare un punto di vista di classe all’interno del mondo della formazione, nonchè le realtà politiche organizzate a prendere parte al Convegno nazionale promosso dalla Rete dei Comunisti per sabato 30 aprile presso la Sala Consiliare dei Giardini Lorusso, in via dello Scalo 21, a partire dalle 10 del mattino.

Come campagna Noi Restiamo saremo presenti da più città per portare il nostro contributo alla discussione, nell’auspicio di poterlo estendere il più possibile a quanti sono interessati a costruire momenti di confronto franco e approfondito.

La recente mobilitazione contro l’autoritaria controriforma della Scuola targata Giannini ci dice che le aule rimangono tra i pochi spazi in cui sia ancora possibile tessere discorso politico, dare forma a rivendicazioni e progetti più organici della semplice dimensione vertenziale.

Allora, ben lontani dall’immaginare di ripercorrere orme cancellate dal tempo, e restii a evocare idilliache atmosfere da università di massa e illusioni da diritto universale allo studio, crediamo che la fase di trasformazione che sta subendo tutta quella filiera che fa da anticamera al mondo del (non) lavoro ci dia occasione per mettere le mani in pasta e parlare alla testa di chi ha orecchie per sentire, e alla pancia di chi sa riconoscersi come ultimo esemplare di una specie in via di estinzione. Perché infatti se l’operaio non c’è più, anche suo figlio non è più tanto certo di poter fare il dottore.

Mentre il sotto-inquadramento diventa uno standard e scompaiono le occupazioni da classe media, veniamo spinti ad emigrare per mantenere alta la cieca fede nella bontà di questo sistema di sviluppo. Il mito della fuga all’estero diventa effimero e fugace per chi, lì come a casa, troverà presto condizioni di lavoro precario, subalterno, mal retribuito, con diritti messi sistematicamente sotto attacco dalla crisi. Si crea inoltre un’evidente e ulteriore spaccatura, questa volta con i coetanei più fortunati, i quali volendo perfezionare i propri studi possono cogliere la mobilità internazionale come possibilità di associarsi all’élite tecnica e intellettuale che sorregge l’impalcatura europea, in una competizione individualista che raramente vede protagonista la tanto decantata meritocrazia.

Evidentemente il mondo della formazione nel suo complesso presenta le caratteristiche di un terreno sul quale alle soggettività di classe non è concesso dichiarare la resa. Un punto di smistamento fatale tra i pochi che si inseriscono nella catena del valore direttamente dalle cabine di regia e i molti che si preparano ad esserne carne da macello. Un luogo nel quale rafforzare un senso di comunità difficile da riscontrare in altri ambiti del mondo giovanile, e dal quale è possibile rilanciare le sorti del senso di appartenenza di classe. Un campo di battaglia in cui l’eco di un antagonismo che ha da venire possa quantomeno opporsi allo stridore della ferraglia con cui una marea di individui sono chiamati a farsi la guerra gli uni contro gli altri, a riprodurre in seno alla società i tristi suoni di morte che la fortezza Europa produce ai propri confini.

Perché la “lost generation” di Draghi possa abdicare al ruolo affidatole con improbabili epiteti cucitile addosso dagli stessi protagonisti della sua condanna, occorre che la sua componente più attenta alle tendenze che si delineano sotto la superficie della Storia sappia darsi un’analisi adeguata a fornire indicazioni necessarie per agire concretamente nel mondo in cui viviamo, se l’obiettivo rimane quello di sovvertirlo.

Mettere in discussione i paradigmi dominanti nel contesto dell’accentramento di capitali e di competenze decisionali disegnato dall’Unione Europea, e riconoscere quello che i fratelli migranti ci insegnano ogni giorno con la loro esperienza: non esistono paradisi raggiungibili, solo una lotta capace di attestarsi sul livello complessivo imposto dall’avversario può dare soluzione reale ai soggetti sociali oggi accomunati dalla condizione di ipersfruttamento, dalla mancanza di una voce comune e da un sistema alimentato dal binomio austerity in casa / guerra alle porte.