UNIVERSITÀ, IDEOLOGIA, GUERRA: IL CASO DELLA DISCRIMINAZIONE DEGLI STUDENTI NELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato un vero e proprio clima di mobilitazione bellica con cui le nostre classi dirigenti ci stanno trascinando in guerra. La loro ottica è chiara: procedere spediti verso il riarmo dell’Europa, il rafforzamento della Nato, la creazione di un esercito comunitario che farebbe compiere “l’ultimo miglio” che resta per completare la costruzione del superstato imperialista europeo. Ciò contribuisce a far surriscaldare sempre più le relazioni internazionali e porta sempre più vicino ad una guerra generalizzata che potrebbe essere nucleare.

Le conseguenze di questa scelte politiche hanno serie conseguenze per il “fronte interno” portando ad accelerare quella torsione autoritaria già in atto da tempo e ad imporre seri sacrifici, ad una popolazione già stremata prima dalla crisi economica e sociale e poi da quella pandemica che non è mai finita. Sacrifici già annunciati da Draghi col motivetto del “preferite la pace o il condizionatore acceso”, e che tuttavia non trovano il consenso delle classi popolari che sono contrarie all’economia di guerra e favorevoli alla pace, come dimostrato dai sondaggi.

In questo clima le classi dirigenti europee da tempo immerse in una crisi di egemonia, cercano di ritagliarsi un consenso verso i loro progetti imperialisti tentando di rafforzare la cortina ideologica a sostegno dei loro progetti. Uno dei tentativi ideologici portato avanti dalle classi dominanti è lo sciovinismo europeista basato su una retorica nazionalista europea, cui il coro mediatico ed i luoghi della formazione si sono completamente allineati. Un ribaltamento che mostra bene l’ipocrisia dell’Unione Europea: infatti, il nazionalismo veniva agitato come pericolo “antieuropeista” quando conveniva (nel mentre che i confini venivano militarizzati), ed ora che la situazione internazionale ha subito un’accelerazione portando alla necessità di un nemico esterno, quella stessa forma di nazionalismo torna alla ribalta, per rafforzare i valori dell’occidente, della sua cultura e delle sue pratiche di modo da giustificare le proiezioni imperialiste dell’UE.

Viviamo una propaganda di guerra che disumanizza il nemico e si schiera apertamente dalla parte degli ucraini, si dipinge la causa ucraina come una lotta per la democrazia, spingendosi fino a strumentalizzare i partigiani paragonandoli agli ucraini… con la “leggera” (si fà per dire) differenza che il governo e l’esercito ucraino sono composti da nazisti, che per 8 anni hanno combattuto contro le repubbliche popolari antifasciste del Donbass, ed in questo periodo hanno anche schiacciato il dissenso con arresti di massa, uccisioni e rapimenti di antifascisti, giungendo fino a mettere al bando praticamente tutti i partiti di opposizione.

Ma non sono solo i giornali ed i media mainstream ad allinearsi allo sciovinismo e all’interventismo, anche le nostre università prendono parte attiva in questo coro e adempiono alla loro precisa funzione di stampella ideologica al sistema dominante: come in pace così in guerra. Inoltre, a questo sistema sono legate anche sotto il profilo materiale tramite l’inserimento della ricerca e della formazione universitaria nella filiera bellica.

Il polo di serie A bolognese dell’unibo fà da capofila tra le università schierate a sostegno della guerra. Sin dai primi giorni dell’invasione si proietta in piazza scaravilli la bandiera dell’ucraina seguita dalla bandiera della pace, ripetendo una operazione ideologica già ampiamente messa in campo nelle piazze del mese scorso per tentare di far identificare il sostegno allo stato ucraino al pacifismo.

Inoltre l’unibo ha deciso di stringere un patto collaborativo con la questura di Bologna per mandare gli studenti iscritti al bando per l’attività di collaborazione studenti-università (le famose 150 ore) presso gli hub d’accoglienza sparsi per la città, con l’intento -dichiara la questura- di snellire il lavoro degli ufficiali e avere personale da reindirizzare ad altre attività.

Troviamo preoccupante che le 150 ore – già strumento classista utilizzato dall’università per colmare con le mancanze dei servizi pubblici attraverso il lavoro di tutti quelli studenti provenienti dalle fasce popolari che si ritrovano a dover lavorare per l’università di modo da permettersi gli studi – siano utilizzate per rafforzare ulteriormente i legami già stretti tra l’università e la polizia, che ricordiamo è stata fin ora usata dall’unibo (insieme alla digos) come tramite per i rapporti con le organizzazioni studentesche e come lunga mano in zona universitaria tramite la militarizzazione delle piazze. Questura che in questi ultimi mesi si è ben distinta, insieme al comune di Bologna a guida PD, come la fautrice di sgomberi di occupazioni e abitative e di spazi sociali.

Ma c’è di più: il compito di accoglienza dei migranti ucraini (considerati migranti di “serie A” a dispetto di tutti gli altri che invece vengono quotidianamente respinti dalla fortezza europea), scaricato così sugli studenti dell’unibo, dal punto di vista ideologico serve a rafforzare il sostegno delle nostre università alla parte ucraina, facendo perno su una retorica nazionalista europea schierata contro il nemico russo.

Infatti se da un lato si fà un certo trattamento di favore agli ucraini, dall’altro lato le università stanno contribuendo a far individuare i russi come nemico esterno ed interno su cui esercitare censura, limitazione dell’agibilità politica e democratica, ostracismo culturale. Un esempio di tutto questo lo abbiamo avuto sempre a bologna, dove le comunità ucraina e russa -insieme- hanno chiesto attraverso una lettera pubblica un incontro con il rettore, per chiedere aiuto per far fronte alle loro condizioni economiche che stanno andando peggiorando e per intraprendere un percorso di informazione, per far fronte al razzismo dilagante. L’incontro è avvenuto, ma in due momenti diversi e con due esiti diversi. Se la comunità ucraina ha ottenuto borse di studio, prestiti e aiuti da parte dell’Università, la comunità russa ha visto chiudersi le porte del rettorato, gli studenti di origini russe davanti al rettore sono stati trattati, appunto, da nemici, invasori e reietti della società.

Una tendenza dell’Università ad escludere e a selezionare studenti di serie A e serie B che non solo è strutturale nel modello universitario, ma che segue e giustifica gli orientamenti che di volta in volta rappresentano gli interessi della classe dominante europea. Ce lo conferma anche il caso di selezione fatta fra i profughi ucraini con la cittadinanza e quelli che, provenienti da paesi dell’Africa o dell’Asia e che studiano in Ucraina per i minori costi dell’istruzione e le agevolazioni burocratiche rispetto ai paesi occidentali, vengono invece lasciati a se stessi, negandogli qualsiasi possibilità di rifugio.

L’operazione di identificare il nemico per l’imperialismo occidentale in una cultura tutta, col pericolo di arrivare a veri e propri pogrom contro le comunità russe in Europa, ci mette davanti a quella che è una vera e propria giustificazione ideologica della mobilitazione bellica europea. Inoltre la russofobia è utilizzata anche come perno del maccartismo contro chiunque non si allinei alla propaganda bellicista ed alla narrazione unilaterale del conflitto.

Il mondo della formazione universitaria, così come è stato prima per quello della cultura, si arruola al servizio del nostro imperialismo trascinandoci verso una guerra generalizzata: creando legittimazione per una guerra ai confini dell’Europa e inserendo nella società logiche proprie di una guerra interna.

Combattere queste derive irrazionali, dentro e fuori le università è un ulteriore terreno di lotta contro una guerra cercata e voluta in primis dagli stati uniti e sulla quale l’unione europea sta cercando di rafforzarsi. La pace e l’integrazione fra i popoli non trovano spazio nelle nostre università.